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Il sogno del barone

Authors: Michele Tetro
Categories: Horror
Characters: Dan Mateo
Episodes: Set before The Troubled Spirit
Show Year: Y1
Rating: PG-13
Date: 2003
La Base Lunare Alpha invasa da zombi assassini! L'agghiacciante avventura di Dan Mateo nel tentativo di raggiungere la Main Mission, solo per scoprire una realtà ancor più terrificante

This story is in Italy.Click here to read the English translation.
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Racconto di Michele Tetro, tratto da "Zombi elettronici" di Michele Tetro, con riferimento a "Fantasma su Alpha" di Johnny Byrne

A Giancarlo Prete,
oltre l'Infinito...

That night the Baron dreamt of many a woe
And all his warrior-guests, with shade and form
Of witch, and demon, and large coffin-worm
Were long be-nightmared.


Quella notte il Barone sognò molte sventure,
E tutti i suoi ospiti-guerrieri, in forma e apparenza
Di streghe, demoni e grassi vermi di tomba
A lungo infestarono i suoi sogni.


Keats, The Eve of Saint Agnes

Epilogo

"Lasciatemi andare! Mi sentite? Lasciatemi andare!"

"Dan?"

"Mi sentite? Lasciatemi andare! La pagherete per questo!"

"Dan, che cos'hai? Non ti senti bene?

"La pagherete, tutti voi! Liberatemi! Ti ucciderò, Koenig!"

"Dan, mio Dio, svegliati!"

"TI UCCIDERO', KOENIG!"

"Dan!"

Sentendosi scrollare, Dan Mateo spalancò gli occhi con un gemito. Laura Adams era davanti a lui, con espressione preoccupata. Avvertì una strana forma di pressione nel cervello, che però scomparve repentinamente una volta messo a fuoco il viso della giovane assistente. Le sorrise, scuotendo la testa.

"Dan! Mi hai fatto spaventare! Guardati, sei tutto sudato!"

"Non è nulla", replicò Mateo, "Ma... devo essermi addormentato".

"E devi aver fatto un brutto sogno, anche! Borbottavi nel sonno e sembrava che ce l'avessi a morte con qualcuno...", la ragazza accarezzò la fronte del botanico, "... e non è difficile immaginare chi!"

"Uhmm... era di certo Warren!", Mateo si alzò in piedi, prendendo per mano la minuta dottoressa dai capelli scuri, "Già non mi può vedere, se addirittura mi sorprendeva addormentato qui alle colture sarebbe stato capace di farmi un bel rapportino al comandante. Vecchio caprone!"

"Non saranno mica i postumi di quella cura cui ti ha sottoposto il dottor Russell per farti calmare i bollori? Va tutto bene, ora?"

"Ma certo", Mateo fece correre lo sguardo lungo la serra idroponica, piena di piante in soluzione salina e di vasche biologiche, che facevano un curioso contrasto con le sofisticate apparecchiature ed i pannelli murali dei terminali elettronici semi nascosti nel verde. La sezione culture idroponiche della base lunare Alpha era forse l'area più importante per il sostentamento dei trecento naufraghi dello spazio dopo la centrale generatori, il cuore pulsante della catena nutritiva che garantiva il supporto vitale per gli Alphani, da settecentottanta giorni alla deriva nel cosmo sulla Luna strappata alla sua orbita naturale.

"A proposito, dov'è ora quel barbagianni?", chiese a Laura, strappandole un sorriso.

"Ti sentisse... credo si sia ritirato nel suo alloggio".

"Molto bene. Allora approfittiamone. Dottoressa Adams... ", Mateo assunse un'ironica postura di comando, "... chiama Eddie Collins e Shermeen Williams e preparati a partecipare all'esperimento finale!"

Laura spalancò gli occhi, stupita: "Vuoi dire..."

"Abbiamo perso fin troppo tempo, tesoro. Oggi mettiamo in pratica la validità della mia teoria. Se non ora, quando?"

"Ma... Dan, lo sai bene che esiste un rischio a sottoporsi ad uno stato di trance come quello..."

Mateo afferrò le spalle della giovane, fissandola negli occhi: "Sono stanco di aspettare, Laura. Ne abbiamo parlato a sufficienza, ormai. È chiaro che Warren non autorizzerà mai un esperimento simile, quindi... dovremo agire di nascosto".

"Ci mettiamo nei guai, Dan, lo sai, e poi... sei davvero sicuro di quel che stai facendo?"

Mateo ebbe un moto di irritazione, spingendo via da sé la ragazza con un po' più di rudezza di quanto fosse necessario: "Ti stai tirando indietro, proprio adesso? Eri entusiasta della parte teorica, mi pare, di cosa hai paura ora?"

"Non sto venendo meno a quanto ti ho sempre detto, Dan, non pensarlo neppure! È solo che..."

"Poche storie, Laura, o mi aiuti tu o dovrò cercare qualcun altro con sufficiente sensibilità psichica che prenda il tuo posto", il botanico le diede le spalle, raccogliendo da un tavolo cartellette piene di appunti, scuro in viso.

"Sei un uomo testardo e permaloso, Dan Mateo, e forse ti gioverebbe un po' un comportamento meno autoritario e bizzoso!"

L'uomo si voltò, sorridendole imbarazzato: "Scusami, Laura... hai ragione, quando si tratta del mio lavoro divento scostante ed autoritario. Non dovrei proprio trattarti così, quando tu sei stata la persona che mi è stata più vicino e mi ha appoggiato in ogni occasione, anche con quel giardiniere da vivaio turistico di Warren..."

"Mmh... adesso arriva la parte zuccherosa, che ti riesce malissimo, per farti perdonare..."

Mateo tornò serio, stringendo le mani della ragazza: "Laura, ascolta. Lo sai bene che quel che sto cercando di fare è importante, per me, per te, per tutti noi. Viviamo un'esistenza pazzesca, le cui possibilità di sostentamento vitale sono sempre appese ad un filo. Se si rompe, questo filo, siamo finiti. Le culture idroponiche ci permettono di sopravvivere nello spazio ma sono al limite della sufficienza. Bisogna incrementare in ogni modo la produzione alimentare, perché se si interrompe la catena nutrizionale abbiano chiuso, capisci?"

"Sì, Dan, lo so..."

"Se questo esperimento riesce, se possiamo avere la possibilità di un contatto certo con le piante, sfruttando le emanazioni magnetiche del nostro cervello e raccordandole con quelle analoghe emesse dalle piante stesse, sintonizzandoci con esse... Laura, allora forse avremmo risolto uno dei nostri più grandi problemi qui su Alpha. Non dovremmo più preoccuparci del sostentamento, che potrebbe essere aumentato ben oltre i nostri fabbisogni. Potremmo finalmente avere dei figli, senza temere più che l'incremento di esseri viventi sulla base si traduca con l'impossibilità di mantenerli poi in vita. Capisci qual è il mio fine?"

"Sì, Dan. Lo capisco. E sono con te. Ma quando hai esposto la tua teoria a Bergman..."

"Ah, Bergman!", stizzito, Mateo strinse le mani della giovane tra le sue, con più forza, "Questo non è il suo campo, probabilmente per lui sono una sorta di stregone medievale! Non ha protestato però quando ho incrementato di più del trenta per cento le nostre risorse alimentari di Alpha sintetizzando le sostanze allucinogene dalla manna di Ariel e rendendo quei funghi altamente commestibili e nutrizionali! Che mi lasci fare il mio lavoro!"

"E il comandante..."

"Ti ucciderò, Koenig!"

Mateo si azzittì, con espressione incerta. Di nuovo quella strana sensazione nel cervello, la parvenza di un muto desiderio di vendetta, ingiustificato, che sparì con la stessa repentinità con cui era apparso, lasciandolo dubitare della sua stessa manifestazione.

"Il comandante...", riprese, con cautela, "... è in debito con me, col mio lavoro. Avrà presto i risultati effettivi delle mie ricerche, non parole, e mi appoggerà. Tu, Laura, sei davvero dalla mia parte, ora?"

La ragazza esitò, prima di rispondere: "Lo sai bene. Ho fiducia in te, solo... stai attento a quello che fai".

Mateo le sfiorò le labbra in un fugace bacio: "Brava, piccola. Chiama Eddie e Shermeen, io intanto preparo la trasmittente. Vi voglio tutti al tavolo di lavoro entro cinque minuti. Non vi deluderò."

"Lo so, Dan..."

Accarezzò distrattamente i lunghi capelli della ragazza mentre questa si allontanava per raggiungere la colonnina del commpost, già tutto preso nei preparativi dell'esperimento che si apprestava a mettere in atto.

"Deve funzionare... tutto il mio lavoro... deve funzionare, so di essere nel giusto".

Si avvicinò alla teca trasparente di un'incubatrice vegetale, osservando le verdi foglie dalla palma larga della pianta contenuta nel suo interno. La sua immagine si rifletté sul vetro, sovrapponendosi alla cultura nata dalla vasca idroponica. Uno strano gioco di rifrazione gli rimandò per un istante la metà del proprio viso corrugata in una smorfia crudele ma nell'istante stesso in cui focalizzava l'attenzione su quel particolare l'illusione venne meno. Mateo non permise a se stesso di distrarsi troppo: doveva iniziare la seduta entro dieci minuti.

"I tempi sono davvero maturi...", mormorò, e in quel preciso istante, ancora una volta, avvertì quella misteriosa pressione mentale, che gli parve vagamente assumere la forma di un pensiero confuso, greve di odio contenuto.

"Ti ucciderò, Koenig!"

Ma non ci fece caso. Ora aveva altro di cui occuparsi.

1

Lo vide in un parossismo crescente di terrore, fuori di sé, sconvolto come solo può esserlo l'uomo di scienza che si trovi all'improvviso faccia a faccia con l'inammissibile, l'evento soprannaturale che irrompeva con tutta la sua assurda carica di follia nel tessuto razionale della realtà codificata da leggi naturali, annullandola, rovesciandone gli assunti, cancellandola. Travolto dall'orrore, completamente in balia del panico, Dan Mateo non poté far altro che restare immobile a guardare quella scena pazzesca che si svolgeva davanti ai suoi occhi spalancati.

Fuori, sulla brulla superficie lunare illuminata da quella strana e rossastra congerie di energie aliene che era calata sulla base Alpha solo poche ore prima, in flagrante infrazione di ogni legge fisica conosciuta, un uomo senza scafandro spaziale stava correndo verso le strutture esterne della base, proprio in direzione della fila di vetrate del corridoio in cui si trovava Dan Mateo. La figura era completamente carbonizzata, irriconoscibile, con brandelli dell'uniforme sfilacciata e bruciata che si staccavano dal corpo raggrinzito ad ogni passo nella bassa gravità. Come nel più orrido degli incubi notturni, la falcata rallentata dell'essere lo portò a pochi metri dalla finestra su cui si affacciava il botanico paralizzato dal terrore.

"No... cosa sta succedendo? Chi... chi sei?", la voce gli uscì dalle labbra alterata, in un tremante sussurro, "Cosa diavolo sei?"

Quella parvenza d'uomo raggiunse la finestra del corridoio, impietosamente illuminata dalla luce che filtrava dall'interno e dai barbagli scarlatti di quella sorta di misteriosa aurora che gravitava su Alpha. Mateo fissò il volto sconvolgente, privo di lineamenti, la pelle nera accartocciata come pergamena e luccicante di granuli di ghiaccio, l'orifizio spalancato in un urlo silenzioso che era ciò che restava di una bocca e soprattutto quegli occhi bianchi e privi di pupilla, assurdamente luminosi, senza vita. Quell'essere non poteva essere vivo, eppure si muoveva, animato da un'inconcepibile energia vitale, a pressione e atmosfera zero, spinto da un'intenzionalità senza giustificazione. Era l'orrore, l'orrore incarnato uscito da chissà quale assurdo inferno. Mateo lo vide addossarsi al vetro, vide adunche mani simili ad artigli colpire la finestra, occhi gelati fissarsi vacui nei suoi, separati solo da qualche metro di distanza. Ciò che restava dell'uniforme del personale di Alpha rivelava, dal colore marrone della manica sinistra, l'appartenenza dell'uomo, se uomo poteva definirsi quella tragica figura atrofizzata, al settore tecnico della base e di colpo Mateo sembrò riconoscere nei lineamenti devastati l'immagine di una persona conosciuta, morta diversi mesi prima nell'esplosione della centrale generatori 3.

"Anton... Anton Zoref!"

Riconoscere vagamente nei tratti carbonizzati dell'essere l'antico compagno rimasto vittima di un'incomprensibile fenomeno che lo aveva tramutato in un assassino inconsapevole, dell'amico folgorato dal raggio laser della pistola impugnata da Alan Carter durante la caccia all'uomo che aveva impegnato il comandante John Koenig tempo fa, riscosse Mateo dalla paralisi che lo aveva colto. Si avvicinò lentamente alla finestra.

"Anton... sei tu?"

L'essere chiuse lentamente la mano a pugno, la portò dietro di sé e con la forza di un maglio colpì la superficie trasparente del vetro, producendo una ragnatela di crepe. Il colpo formidabile face scattare all'indietro il botanico, riportandolo istantaneamente alla realtà.

"Mio Dio, Anton, no!", Mateo fissò con orrore il vetro incrinato ma ancora a tenuta d'aria. Un altro colpo del genere e la struttura avrebbe ceduto, uccidendolo sul colpo per l'improvvisa decompressione del locale. La creatura che gli pareva essere Anton Zoref si avventò nuovamente sulla finestra, con forza sovrumana, e il nuovo urto terrificante produsse stavolta una perdita. L'incrinatura si ramificò ulteriormente e l'ossigeno cominciò a fuoriuscire sibilando. Mateo recuperò quel poco di sangue freddo rimastogli per lanciarsi verso il portello che dava su un altro settore, si voltò e sigillò ermeticamente i pannelli alle sue spalle. Sul quadro di comando brillarono le spie rosse d'emergenza decompressione, con annesso allarme acustico. Mateo si diresse verso la colonnina del commpost, attivando telecamere interne ed esterne sul corridoio di superficie che aveva appena lasciato. Sui due monitor assistette ad una scena allucinante: la lastra di vetro della finestra finì in briciole ad un ennesimo colpo, vide l'arto dell'essere penetrare entro le strutture ed essere poi respinto dall'esplosione conseguente all'improvvisa decompressione. Sul secondo monitor Mateo osservò la figura roteare a terra, nella polvere lunare, avvolta da una nuvola di particelle e detriti. Con i nervi a fior di pelle, il botanico si afferrò ai lati della colonnina, stringendone i bordi fino a farsi sanguinare le dita. All'esterno, la figura bruciata si sollevò dal suolo lunare, si arrampicò oltre la finestra infranta e penetrò nel corridoio, il cui impianto di illuminazione era saltato. Nel riverbero di sprazzi rossastri provenienti dalla calotta di energia aliena che sostava sull'area della base Alpha l'essere si mosse barcollando verso il portello. La deflagrazione lo aveva investito in pieno e frammenti e suppellettili proiettati all'esterno si erano infilati profondamente nel corpo martoriato, un pezzo di acuminata plastica trasparente si era conficcata in quel cranio informe, in mezzo agli occhi luminescenti. Come nel più orrido degli incubi, Mateo osservò la figura claudicante giungere fin sotto al portello, incespicare, cadere sulle ginocchia. Le orbite bianche sfolgorarono, unica fonte di luce pulsante tra la foschia rossastra, la creatura sollevò le braccia appoggiandosi ai battenti del portello. Agghiacciato, Mateo comprese con terrore che non sarebbe riuscito a passare nell'altro compartimento sigillando il locale dove si trovava: aveva perso troppo tempo, ipnotizzato da quella scena pazzesca.

Ma il simulacro di Alphano carbonizzato non riuscì ad applicare la sua forza sovrumana per spalancare i pannelli. Il corpo sfatto si irrigidì, s'addossò pesantemente alla porta e poi scivolò a terra, rovesciandosi sulla schiena, lentamente. Gli occhi fosforescenti persero di luminosità, fino a spegnersi. Nel monitor, il botanico vide l'essere giacere immobile sul pavimento, immerso nella coltre rossa. Allora il panico, irragionevolmente, esplose in lui come un tappo di spumante, inducendolo a correre fuori dal locale, quasi senza vedere dove stesse andando, in una corsa cieca lungo i deserti corridoi non illuminati di Alpha.

2

Era accaduto tutto solo quindici ore prima.

Senza essere stato segnalato da nessuna telesonda o sensore di alcun tipo, senza nessuna avvisaglia, contatto o riscontro fisico, un gorgo mulinante di energia scarlatta si era formato sopra tutta l'area delle costruzioni di superficie della base lunare Alpha, vorticando a velocità straordinaria su se stesso. Sul momento il fenomeno astrale non aveva avuto nessuna ripercussione sugli strumenti della Main Mission, limitandosi a roteare e immergendo le strutture esterne della base in una irreale colorazione vermiglia, sfuggente ad ogni analisi del computer, poi, dopo alcuni minuti, il vice comandante Paul Morrow aveva fatto giusto in tempo a segnalare un'esorbitante perdita nei generatori della centrale 2. In pochi istanti un'apocalittica esplosione aveva disintegrato l'intero settore, provocando un immediato caos in tutta la base. Il disastro aveva ucciso tutti i tecnici che si trovavano al lavoro in quell'area, costringendo il personale a distogliere l'attenzione dallo scarlatto gorgo pulsante per pensare ai primi soccorsi e ai tentativi di compensare la perdita dei generatori della centrale 2. John Koenig, comandante della base, aveva spinto i suoi uomini a non perdere la calma, anche se a tutti risultava chiaro che l'annientamento dei generatori si traduceva automaticamente con l'impossibilità di poter fornire il supporto vitale per i trecento naufraghi dello spazio. Alpha era stata colpita quasi a morte. Mentre il personale si dava da fare, ciascuno come poteva e doveva, per riportare la situazione sotto una parvenza di controllo, tentando di procrastinare il più possibile la tragica decisione di un esodo a bordo delle Aquile qualora anche la centrale 1 fosse stata interessata dall'inesplicabile sovraccarico energetico, alcuni uomini, rimasti tagliati fuori dalle vie di accesso alla Main Mission avevano cominciato a diffondere allucinanti messaggi impossibili a credersi: a quanto pareva coloro che erano deceduti investiti dall'esplosione camminavano ancora.

Nella caotica confusione che regnava nella Main Mission, dove le comunicazioni coi dispersi si accavallavano tra di loro, gli allarmi squillavano e si tentava di riorganizzare compiti e mansioni, la voce di una donna scampata all'ecatombe, la responsabile della centrale nucleare Joan Conway, si era fatta portatrice di un incubo tanto inammissibile quanto reale, che monopolizzò l'attenzione del personale in modo ipnotico, distogliendolo addirittura dalla ben più immediata necessità di riprendere il controllo della situazione:

"Fuoco e fiamme ovunque, comandante... le paratie stagne hanno tenuto in questo settore... vedo dei corpi, alle postazioni di Jackson ed Ellis... sono morti, quaggiù è un inferno, cerco di allontanarmi... un momento! Comandante, qualcuno si sta muovendo oltre il fumo ma non riesco a... è un miracolo se... preparate una squadra medica! Ci sono dei superstiti, anche se sembra impossibile che... mio Dio! Mio... Ellis! Come... come... Jackson! Voi... voi siete morti! Siete Morti! Dovete essere... state lontani! State...", la comunicazione venne interrotta bruscamente da un grido che poco aveva di umano ma già da un'altra sezione della zona colpita giunse un'altra voce concitata: "Main Mission, qui Sanderson! Sono ferito... ci sono altri due quaggiù con me, tra le fiamme, ma non riesco a... forse Jim Haines o Bartlett... mandate qualcuno, presto! Ma che diav... devo essere impazzito... ora lo vedo, è senza un braccio e cammina... avvolto dalle fiamme! Bartlett! Bartlett, attento! Dio, lo sta colpendo! Haines sta colpendo Bartlett con una lamiera! Ma... ma è morto, è morto! Non può camminare, non... tiratemi fuori di qui!"

Il caos si fece generale nella Main Mission in cui cominciavano a raccogliersi i superstiti, annichiliti, frastornati, confusi. Mentre Koenig ordinava l'evacuazione del personale non necessario a bordo delle Aquile le cui rampe erano ancora agibili, in modo che stazionassero in volo sulla base al sicuro, il grande schermo trasmise un'immagine folle da uno dei comparti adiacenti la centrale generatori che aveva retto la furia della deflagrazione, tale da infrangere la razionalità scientifica degli Alphani, già duramente provata da ciò che implicava la distruzione dei generatori.

Uno dei tecnici sopravvissuti, Smitty, stava indietreggiando terrorizzato davanti alla terrificante figura di un collega, scarnificato dall'esplosione e mortalmente ferito, una barra d'acciaio scagliata via dall'onda d'urto profondamente infissa nel suo torace, che ciondolava vacuo verso di lui, silenzioso, ossessionante: "Fermati, Luke! Ma che diavolo sta succedendo qui?", gridava Smitty, affannandosi nel tentativo di aprire un portello bloccato per sfuggire a quella figura d'incubo che era stata un tempo un suo compagno, "Luke, non ti avvicinare! Dio, ma non c'è nessuno che mi sente?"

Con scombinati gesti quasi meccanici il silenzioso orrore ambulante afferrò la barra semi fusa che gli affondava nel torace insanguinato e bruciato, svellendola dal proprio corpo con rapidi scatti, sotto lo sguardo allibito di Smitty: "Fatemi uscire di qui, per Dio!". Incurante del sanguinoso danno che si auto infliggeva la cosa che era stata un tempo il tecnico Luke Ferro si staccò di colpo il rottame dal petto, brandendolo in alto, lordo di sangue nero, incombendo sull'uomo che ancora lo pregava di fermarsi: "Luke, no!"

La barra calò con selvaggia violenza e determinazione sul cranio di Smitty, massacrandolo in una rossa rovina. Le donne presenti in Main Mission urlarono terrorizzate, il panico dilagò irrefrenabile, nonostante i disperati tentativi di Koenig, Carter e Morrow per contenerlo.

Dan Mateo si trovava nel proprio alloggio quando l'esplosione nucleare spazzò via la centrale generatori 2. Superato il primo istante di sbigottimento dovuto alla consapevolezza di quanto ciò implicava per il supporto vitale della base Alpha, cercò subito di contattate la sezione idroponica cui apparteneva per avere notizie di Laura Adams e dei suoi compagni, fortunatamente distanti dall'area dei generatori, poi rimase ad ascoltare la confusa ridda di comunicazioni tra la Main Mission e il settore colpito, seguì sul monitor l'allucinante sequenza delle prime vittime attaccate da coloro che dovevano essere morti e che invece vivevano ancora, pur se orridamente trasformati in macchine assassine, prive di coscienza o conoscenza. John Koenig aveva ordinato a tutto il personale specializzato di raggiungere la Main Mission, sezione al sicuro nella sua torre sopraelevata, e a tutto quello generico di radunarsi alle due rampe di lancio attive per imbarcarsi sulle Aquile, in modo da abbandonare momentaneamente la base condannata e stazionare in volo oltre la coltre di rossastra energia aliena che ancora gravitava su Alpha. Erano stati approntati dall'analista Sandra Benes dei percorsi obbligati per gli Alphani che si trovavano in sezioni lontane, tagliate fuori dai danni dell'esplosione, dispersi o non raggiungibili, baluginanti su ogni colonnina dei commpost ancora funzionante, in modo che si potessero evitare le aree interessate dalla deflagrazione, depressurizzate, contaminate dalle radiazioni o infestate dai morti viventi. Morti viventi, zombies. Qualcuno aveva già pensato di riferirsi con quel termine anacronistico a coloro che erano rimasti vittima dell'incidente, un'attribuzione che sembrava calzare a pennello alla situazione, sebbene risultasse completamente aliena ed offensiva alla mente di Mateo, che non poteva assolutamente credere, nonostante quanto aveva visto coi propri occhi, che Alpha fosse sconfinata in un universo dove il soprannaturale dettasse le sue leggi. Ma prima di potersi permettere ogni tipo di riflessione doveva pensare a salvare la propria vita. Fu tra gli ultimi a comunicare la propria posizione alla Main Mission, ritenendosi momentaneamente al sicuro lì dove si trovava e permettendo che gran parte del personale si muovesse prima di lui. Il tragitto da seguire verso la Main Mission, per quanto apparentemente sicuro, era notevolmente lungo e chi poteva dire quali fossero nel frattempo gli spostamenti dei contaminati. Questo era il termine che Mateo preferiva usare indicando le vittime dell'esplosione, nel suo rifiuto totale di qualsiasi spiegazione esoterica al fenomeno. Il comandante Koenig aveva chiesto al professor Victor Bergman di emettere un comunicato nel tentativo di contenere il panico nel personale ancora disperso e lo scienziato dal rassicurante aspetto paterno si era sforzato di razionalizzare l'accaduto, indicando nella mostruosa trasformazione dei contaminati l'effetto misterioso del gorgo di energia che gravitava su Alpha, forse un tentativo di invasione da parte di esseri alieni che ancora non rivelavano lo scopo delle loro azioni. Mateo ascoltò per un po', poi decise di muoversi a sua volta, armandosi di pistola laser, che ora ogni elemento del personale di Alpha, per ordinanza dello stesso comandante Koenig in seguito alle drammatiche vicende passate dopo l'abbandono dell'orbita terrestre, possedeva personalmente.

Uscì dal suo alloggio e si accinse ad intraprendere la strada per la Main Mission, accorgendosi fin troppo presto di quanto pericoloso sarebbe stato il tragitto e quali spaventosi incontri gli sarebbe toccato affrontare.

3

Mateo riacquistò il controllo delle proprie facoltà, addossandosi stremato ad una parete del corridoio in cui era finito, quasi senza rendersene conto. Non poteva rischiare di muoversi così alla cieca, ora che i contaminati si erano diffusi per le altre sezioni di Alpha, aggredendo in modo cruento ogni persona incontrata sul loro cammino. Respirò profondamente, passandosi le mani sul volto sudato e trattenendo il fremito incontrollato delle membra.

Si trovava ancora in una zona di alloggi immersa nella semi oscurità, in quanto i pannelli luminosi alle pareti erano spenti, ma riuscì a capire subito dov'era leggendo su un portello il nome del proprietario dell'alloggio: tenente Anthony Verdeschi, il responsabile della sicurezza sulla base Alpha. Ciò voleva dire che oltre l'angolo del corridoio si trovava una piccola ma fornitissima armeria di primo utilizzo, a disposizione degli agenti di sicurezza che alloggiavano in quel settore. Il laser personale gli parve poca cosa e decise subito di forzare il locale per appropriarsi di un fucile ad alternanza, che sarebbe potuto tornargli utile.

Accertatosi che il corridoio era deserto, Mateo si pose davanti al portello dell'armeria, puntando il laser sulla pulsantiera. Non conoscendo il codice di apertura noto solo agli agenti di sicurezza e al comandante non poteva fare altro che cortocircuitare l'intero sistema elettrico. Fece fuoco sulla pulsantiera e il vivido raggio giallo del laser illuminò per un secondo il corridoio, esplodendo in una pioggia di scintille. Il botanico spinse a mano i battenti nelle loro sedi e penetrò nel piccolo ripostiglio d'armi. Il locale conteneva diverse rastrelliere di piccole stun-gun dalla forma di U rovesciata e di fucili portatili ad alternanza, in grado di emettere, oltre al laser potenziato, anche un potente viluppo di fuoco liquido scegliendo l'opzione lanciafiamme. Mateo mise in fondina la stun-gun personale, afferrò un fucile ad alternanza e controllò velocemente l'efficienza dell'arma e la carica di combustibile. Per sicurezza si mise in vita una cintura con due bombolette di riserva di combustibile, poi si assicurò a tracolla l'arma. Prima di uscire prese anche una torcia elettrica, che gli sarebbe servita nelle aree di Alpha in cui mancava l'illuminazione.

Così attrezzato, Mateo si apprestò a compiere il tragitto verso la Main Mission, ancora molto distante dal punto in cui si trovava. La mancanza di energia gli impediva di utilizzare il travel-tube, la metropolitana della base, che altrimenti gli avrebbe permesso di giungere in meno di cinque minuti. In quelle condizioni invece non sarebbe stato facile unirsi ai sopravvissuti, dovendo attraversare aree e settori forse depressurizzati, aggirare livelli non agibili, far fronte ad eventuali, spiacevoli incontri.

Uscito dall'armeria, Mateo provò la torcia, illuminando il lucido pavimento del corridoio. Una macchia rossastra a terra, evidentemente sangue, gli fece accapponare la pelle e contemporaneamente udì il suono di pesanti passi strascicati provenire da oltre l'incrocio con un altro corridoio, presso la colonnina del commpost. Qualcuno si stava muovendo lentamente nelle tenebre, arrancando verso di lui, forse attirato dal suono del precedente sibilo del laser. Mateo mantenne la calma, facendosi scivolare di spalla il fucile ed impugnandolo saldamente. Spense il fascio luminoso e nello stesso istante sentì altro movimento alle sue spalle, dalla direzione da cui era venuto. L'istinto gli diceva che non potevano essere altri dispersi in marcia verso la Main Mission, quel settore era già stato completamente evacuato. Cercò di sensibilizzare il proprio udito, cosa non facile col sangue che gli pulsava sordo alle tempie, nel tentativo di capire quale delle due presenze fosse la più vicina a lui. Gli parve che il rumore di passi alle spalle si stesse allontanando da lui, assottigliandosi come se chi lo aveva prodotto avesse girato un angolo o fosse entrato in qualche locale. Ma quello davanti era inequivocabilmente in avvicinamento. Calcolò mentalmente le mosse più opportune: il corridoio che stava percorrendo proseguiva oltre la colonnina di comunicazione verso l'ingresso del travel-tube e lì si esauriva, mentre quello da cui provenivano i passi e che lo tagliava conduceva ad altri alloggi da un lato e agli uffici della sicurezza dall'altro. Entrambi erano semi bui in quanto privi di finestre, neppure rischiarati dai barbagli rossastri provenienti dall'esterno. Decise di provare a spostarsi dalla parte degli uffici, che sapeva avere doppi accessi nel settore adiacente, quando all'improvviso cadde il silenzio, bloccandolo incerto.

Il cuore gli batteva in petto con un rimbombo tale che temeva potesse addirittura udirsi e farlo scoprire. A terra, accanto alla pozza di sangue, vide una stun-gun abbandonata, appartenuta forse all'uomo che era stato aggredito in quel punto. Con un calcio la fece scivolare rumorosamente oltre il commpost e allora la figura immersa nel buio si profilò all'angolo del corridoio, girando a destra verso l'improvvisa fonte di rumore. Era un uomo del servizio di sicurezza, dalla manica viola e dalla bandoliera pettorale, che si strascicava a ridosso della parete, il sangue che gli imbrattava una gamba ferita. Nel fioco lucore delle spie luminose del commpost, Mateo fu quasi certo che si trattasse di Bill Lowry, della squadra di Pierce N'Dole, una delle prime accorse per portare soccorso alla zona dei generatori. Gli puntò addosso il fascio di luce della torcia.

"Lowry!", chiamò, per accertarsi della vera natura di quella figura claudicante. L'agente di sicurezza si voltò lentamente, rivelando il viso alla luce: gli occhi erano rovesciati all'insù, rivelando il bianco della cornea, la bocca era spalancata in un muto grido, la pelle era di un colorito terreo. Senza profferire parola sollevò le braccia con le mani contratte ad artiglio e si lanciò zoppicando verso Mateo.

"Lowry, fermati, per l'amor di Dio!", urlò Mateo, sollevando il fucile ad alternanza in funzione lanciafiamme, "Non mi riconosci, Bill? Sono Dan Mateo!"

Come un automa Lowry non accennò a fermarsi. Doppiò la colonnina di comunicazione e si scagliò su Mateo, deciso ad aggredirlo: "Bill, fermo o sarò costretto... no, Bill!"

Mateo si rese conto che l'uomo non lo avrebbe ascoltato. Senza più esitare aprì il fuoco. Una furiosa vampata di densissima fiamma liquida avvolse il corpo dell'agente di sicurezza, scagliandolo all'indietro nel corridoio, ridotto ad una crepitante torcia umana. Lowry si agitò come impazzito, senza emettere suono, cadendo addosso al commpost. Mateo lo fissò inorridito in quella danza di fuoco per qualche secondo. Lowry stava tentando di rialzarsi e di ripetere l'attacco. Il botanico passò il commutatore del fucile su laser quando un rumore alle sue spalle lo fece voltare di scatto.

Si trovò faccia a faccia con un altro zombi, che lo aveva sorpreso da dietro, non udito a causa del rumore delle fiamme che riempiva il corridoio. Per una frazione di secondo Mateo riconobbe i tratti ustionati dell'astronauta Pete Irving, con indosso lo scafandro spaziale privo del casco, bruciato, la plastica del collare che si fondeva orrendamente al cuoio capelluto. L'essere afferrò la canna del suo fucile, strappandoglielo di mano e colpendo quasi alla cieca Mateo in pieno viso. L'anello di giuntura dei guanti graffiò la guancia del botanico, che cadde a terra perdendo l'arma. Al di là di ogni orrore, avvertendo il calore delle fiamme alle sue spalle, Mateo cercò spasmodicamente di impugnare la sua stun-gun mentre Irving si apprestava a colpire nuovamente. Il raggio bluastro del laser balenò nel buio, centrando l'apparato toracico dello scafandro dell'astronauta, che esplose fragorosamente. Irving si piegò su se stesso ma non cadde. Con la tuta in fiamme rinnovò la sua carica e Mateo, da terra, sparò nuovamente. I tessuti resistentissimi dello scafandro si lacerarono e l'energia mortale azzannò il corpo dell'astronauta, devastandolo e proiettandolo all'indietro. In quel caos Mateo, per istinto più che altro, riuscì ad afferrare la cinghia del fucile, la trascinò con sé verso il corridoio di sinistra, strisciando sulla schiena lontano dalla figura di Lowry che si stava avvicinando carponi. Impugnò nuovamente l'arma e lascio partire altre due fiammate contro gli attaccanti, ricevendo contro l'ondata di calore. Lowry si rovesciò a terra rimanendo immobile, le fiamme si propagarono attorno. In quel caos scarlatto Irving si risollevò di scatto, muovendosi alla cieca e finendo con l'inciampare nel corpo ormai carbonizzato ed irriconoscibile dell'agente di sicurezza. I due esseri avvamparono insieme, mentre Mateo si rialzava e tentava disordinatamente di allontanarsi da quell'inferno, rimbalzando contro le pareti del corridoio, accecato dal fumo e dal dolore.

Davanti a sé intravide una luce, verso la quale corse, proveniente dagli uffici della sicurezza, i cui battenti erano spalancati. Si rovesciò all'interno del locale, finendo su un tavolo ingombro di carte e scivolando a terra. La sua mano corse al fianco, afferrò il commlock e convulsamente azionò la chiusura del pannello d'ingresso. Senza riprendere fiato strisciò a quattro zampe verso la porta che dava accesso alla sezione adiacente, anch'essa miracolosamente illuminata, e si ritrovò in una saletta di relax con divanetti posti lungo le pareti. Sfinito, si lasciò cadere su uno di essi, avendo cura di chiudere anche il battente degli uffici. Sanguinava dal viso, dove era stato colpito dal polsino metallico dello scafandro di Irving, ma la ferita non era grave. Il locale aveva un accesso sul fondo, che Mateo ricordava vagamente doversi collegare ad altri corridoi di servizio.

Il botanico aveva bisogno di riprendere fiato e recuperare la lucidità mentale. Si tamponò la ferita sulla guancia ed ora che era momentaneamente al sicuro non poté fare a meno di ripensarci: aveva dato alle fiamme due suoi compagni, questo era indubbio. Li aveva uccisi. No, erano già morti... e comunque sia loro stessi avrebbero ucciso lui se non li avesse fermati. La testa sembrava scoppiargli. Non poteva, non voleva dare credito alle ipotesi soprannaturali che erano circolate sulla base, non era possibile accettarle in quel luogo e in quel tempo. Ma lo aveva visto coi suoi stessi occhi... Bill Lowry e Pete Irving erano morti, e lo avevano aggredito per uccidere. E poi, Anton Zoref che si muoveva all'esterno, in superficie... No, non poteva essere Anton Zoref, il tecnico era morto mesi prima, il suo corpo si era disintegrato nell'esplosione della centrale 3. Doveva essere qualcun altro, rimasto coinvolto nella distruzione dell'altra area generatori... ma l'impossibilità della sua sopravvivenza sulla superficie lunare restava un problema imprescindibile... era necessario basarsi su dati concreti per elaborare spiegazioni attendibili e i fatti erano quelli, lapidariamente chiari: i morti camminavano, i morti uccidevano. Perché quegli uomini erano davvero morti, non si poteva discutere su questo, nessun organismo vivente poteva sopravvivere ad una catastrofe simile o alle radiazioni o in quell'orribile stato di corpi martoriati, carbonizzati, massacrati. Doveva per forza esistere una spiegazione razionale a quel fenomeno allucinante, a quella grottesca situazione che vedeva Alpha in balia di esseri che non avevano modo di esistere... quell'energia rossastra che gravitava sopra la base doveva avere a che fare con quel mistero...

4

Il botanico si riscosse da quei pensieri. Non avrebbero abbandonato un istante la sua mente ma ora doveva pensare di mettersi in salvo. Soffocò l'arsura che lo aveva colto alla gola, pensando che anche il diabolico intruglio che Tony Verdeschi definiva birra e che coltivava con vana speranza nella serra idroponica ora gli sarebbe stato gradito. Sfregò la guancia ferita sulla manica gialla della sua uniforme, cercando ancora di tamponare il sangue, poi si alzò e si avvicinò alla colonnina di comunicazione. I visori mandavano l'immagine della mappa elettronica di Alpha approntata da Sandra Benes per coloro che dovevano ancora raggiungere la Main Mission, con i percorsi vincolati evidenziati in diversi colori. Mateo constatò che i suoi spostamenti obbligati lo avevano allontanato dalle zone accessibili per il rientro e che l'unica via da seguire lo costringeva ad attraversare il gigantesco hangar delle Aquile al di sotto della rampa 4, non agibile in quanto rottami e frammenti scagliati dall'esplosione della sezione generatori erano ricaduti sulla pista sollevabile ingombrandola. L'ambiente era vastissimo e con un colpo d'occhio avrebbe permesso di tenere sotto controllo la situazione, evitando agguati, ma se i contaminati (inconsciamente Mateo continuava a preferire quel termine) si erano spinti sin lì sarebbe stato un problema seminarli nello spazio aperto tra le astronavi ricoverate. Ci avrebbe pensato sul momento, inoltre se non ricordava male proprio prima degli uffici che s'affacciavano sull'hangar esisteva un condotto ormai raramente impiegato che snodandosi al di sotto del ricovero sotterraneo in un lungo corridoio permetteva di aggirare quasi completamente l'area, congiungendosi nella zona del Centro Medico, ormai in prossimità della Main Mission. Avrebbe considerato poi l'idea di utilizzare quell'alternativa.

Mateo fece per comunicare le sue intenzioni alla Main Mission ma d'improvviso le mappe elettroniche scomparvero dagli schermi, sostituite da disturbi elettrostatici. I pannelli luminosi alle pareti ammiccarono e la loro luminescenza si ridusse della metà. Cercò di contattare comunque la Main Mission.

"Morrow, qui Dan Mateo dagli uffici della sicurezza, mi senti?", nessuna risposta al di là del crepitio elettronico, "Morrow, puoi sentirmi?", cambiò frequenza, inutilmente, "Kano, qui Mateo, c'è nessuno in ascolto?", passò sull'onda di emergenza, ancora senza risultato, "Comandante Koenig, può ricevermi? Pronto, Main Mission, c'è qualcuno in ascolto?". Nulla da fare.

"La perdita di energia comincia a farsi sentire", pensò, preoccupatissimo, "Devo affrettarmi a rientrare, se il calo si fa totale avrò difficoltà ad aprire i portelli chiusi in certi settori!"

Fortunatamente non aveva perduto durante l'attacco di Lowry e Irving la torcia elettrica, assicurata al polso, che gli sarebbe stata utile nella oscurità dei corridoi. S'avviò quindi senza più esitare fuori dal locale, muovendosi circospetto e a ridosso delle pareti, con il fucile pronto ad essere usato. Per quanto attento e coi sensi tesi a captare ogni movimento sospetto attorno a lui, Mateo sentiva che una parte del suo cervello continuava a lambiccarsi testardamente cercando di formulare una plausibile teoria che giustificasse quella situazione pazzesca. Non riusciva ad accettare assolutamente la spiegazione soprannaturale, che trovava ridicola e addirittura infamante se attribuita a coloro che erano rimasti vittima della distruzione dell'area generatori. Nonostante fosse stato aggredito da due suoi ex colleghi ed amici, che aveva dovuto uccidere per salvarsi ("Non potevano essere già morti!"), il botanico si ostinava a vedere le cose in maniera differente, cercando oltre il velo dell'apparenza. Più ci pensava più era convinto che la verità giacesse nascosta altrove... ma dove?

Stava attraversando il corridoio che lo avrebbe condotto all'ingresso dell'hangar scavato sottoterra, e all'incirca a metà del passaggio si rese repentinamente conto di un fatto di cui avrebbe già dovuto accorgersi se non fosse stato così immerso nei suoi pensieri. Il corridoio era provvisto di finestre, ma era quasi buio. Dall'esterno non giungeva più alcun barbaglio rossastro. Si affacciò ad un oblò rettangolare e scrutò il cielo sopra Alpha.

Non c'era più la minima traccia dell'energia aliena vorticante sulla base.

Il fenomeno aveva cessato di manifestarsi, come mai esistito, tutto era tranquillo, e anche la nuvola di plasma dovuta allo scoppio dell'area generatori si era dissolta del tutto. Turbato, Mateo non perse però tempo a considerare la cosa, sperando invece che anche gli effetti presumibilmente dovuti a quel gorgo di forze luminoso avessero finito di influire sui contaminati... se poi davvero lo avessero fatto. Riprese il cammino, arrivando al vestibolo sopraelevato che dava sull'hangar. L'energia di emergenza gli permise ancora di usare il commlock per spalancare i portelli, fortunatamente non era un'area riservata a codice per il personale autorizzato.

Si ritrovò in un locale dalle ampie vetrate che si proiettavano sull'immenso hangar sottostante, deserto ed immerso in una ridotta luce azzurrina. Attualmente erano ricoverate tre Aquile in manutenzione, che si profilavano gigantesche in fondo alla caverna di metallo, coi loro minacciosi musi da mantide innestati sulla possente struttura che le davano una vaga rassomiglianza al corpo di immensi coccodrilli immobili. Mateo decise che non avrebbe attraversato a piedi l'hangar, così pieno di zone d'ombra poco rassicuranti, optando per il corridoio sotterraneo. Discese con l'ascensore tuttora funzionante al livello basso, girando poi a destra lungo la parete di titanio. Uno spaccato dell'area nel locale soprastante gli aveva indicato dove fosse il passaggio che gli serviva ma per raggiungerlo doveva attraversare una struttura mobile in disuso che risaliva al primo progetto di costruzione della base Alpha, quando ancora le Aquile non erano ancora operative e al loro posto venivano utilizzate piccole navette biposto. Si trattava di una sorta di gigantesca ruota di lancio, una imponente sezione circolare posta in senso verticale rispetto alle altre costruzioni, dal diametro di sedici metri, entro cui si trovavano i quattro mezzi spaziali adibiti al trasporto di materiali e nel caso come scialuppe di salvataggio. Poiché la ruota girava sul suo asse, per permettere alle navette di decollare a rotazione, come proiettili dal tamburo di una pistola, affacciandosi quindi alle strutture esterne della base, nel suo mozzo la gravità era ridotta e si poteva attraversarlo galleggiando. Era una struttura non più usata, che un tempo veniva presentata agli ospiti illustri che giungevano sulla base dalla Terra, più che altro come curiosità, e Mateo si stupì che la massiccia ruota fosse ancora in funzione in quel momento. Forse si stavano compiendo particolari lavori nel suo interno al momento della catastrofica esplosione dei generatori.

Il grande portello d'accesso era contrassegnato da vividi avvisi rossi che ne proibivano l'ingresso ai non autorizzati ma Mateo aveva trovato il codice d'accesso nel laboratorio sopraelevato, che compose sulla testiera murale. Il battente si aprì silenziosamente sull'anticamera del locale ruotante, le cui pareti erano occupate da armadietti a soffietto che contenevano le arancioni tute spaziali in dotazione su Alpha, gli apparati respiratori, i caschi e svariati altri tipi di equipaggiamento. Mateo decise di indossare uno scafandro, per sicurezza, ritenendo che gli avrebbe offerto una valida protezione contro eventuali attacchi da parte dei contaminati nonché dal tasso di radiazioni che gravavano sulla base dovute all'esplosione dei generatori. "Dovevo pensarci prima", pensò, mentre s'infilava nello scafandro, "Il tessuto della tuta poteva assorbire corpi contundenti di notevole impatto, per abbattere Irving anche il laser...", s'interruppe, nell'atto di chiudere di mettersi il collare su cui avvitare il casco, "Un momento... Irving. Peter Irving in tuta spaziale... ma che ci faceva nel settore generatori un astronauta? Quello non era senz'altro il suo posto... e poi in tuta spaziale... possibile che fosse stato aggredito dai tecnici contaminati e poi a sua volta... ucciso per poi diventare anche lui uno... no, mi rifiuto di utilizzare quel termine!"

Stranamente quel particolare che alla fine doveva essere di poco conto, visto che potevano esserci vari motivi per spiegare la presenza di Peter Irving nel settore distrutto dall'esplosione, non ultimo un generoso tentativo di portare soccorso ai compagni, s'intrufolò profondamente nella mente del botanico, quasi che la sua risoluzione dovesse essere una questione molto importante da sviscerare. Mateo afferrò un casco e se lo mise, sigillandosi nello scafandro e controllando le spie vitali sull'apparecchiatura toracica, contenente anche una potente lampada. Così attrezzato ordinò l'apertura del portello che accedeva al mozzo, fluttuando e reggendosi agli appositi maniglioni lo percorse, gettando distratte occhiate ai finestrini d'osservazione che mostravano i silos delle inerti navette spaziali. Uscì senza problemi dall'area di lancio della centrifuga, trovandosi davanti alla abbandonata camera di decompressione sul cui pavimento si apriva il condotto verticale che portava al livello sottostante. Alcune spie sul pannello indicavano che al di là del battente c'era atmosfera zero ed il locale risultava depressurizzato: evidentemente s'era aperta una falla, forse in seguito alle ripercussioni della deflagrazione o alla caduta dei rottami, particolarmente pesante su quel settore di Alpha. Mateo si complimentò per aver provvidenzialmente indossato lo scafandro. I battenti del portello non erano sigillati e non rispondevano al segnale elettronico, danneggiati, ma il botanico riuscì a spingerli manualmente nelle loro sedi, sbuffando con fatica. Già vedeva i maniglioni del condotto verticale sul pavimento, in mezzo alla saletta devastata... e anche qualcos'altro.

In un angolo della camera stagna c'era qualcuno, dilaniato ed irriconoscibile, un qualcuno che un tempo era stato vivo e che, nell'impossibilità più assoluta, lo era ancora adesso, nella morte.

Un contaminato lo fissava vacuo, immoto, a contatto col vuoto.

Questa volta Dan Mateo non perse il sangue freddo. Spianò il fucile ad alternanza, i nervi tesi, pronto a fare fuoco. L'essere devastato non accennò alcun movimento, restando immobile, poggiato alla paratia, assente, senza dare segno di aver percepito la presenza dell'uomo. Le leggi della differenza di pressione sembravano avere avuto la meglio sull'esistenza di quell'organismo deceduto.

"Attento! Anche quello che hai creduto essere Zoref era ben vispo all'esterno di Alpha!"

Non riusciva a riconoscerne le fattezze ma indubbiamente, squadrandolo dall'alto in basso, doveva provenire dall'area distrutta. Il volto era un putrido ammasso di carne sfatta e ghiacciata, precedentemente semi carbonizzato come il resto del corpo, martoriato da spaventose lacerazioni. Dal petto sbucavano ossa nerastre, due orridi orifizi scuri erano tutto ciò che rimaneva degli occhi. La manica sinistra era rossa ma ciò non bastava ad identificare l'essere, che sembrava davvero in condizione di non nuocere. Mateo mosse alcuni passi titubanti in direzione della tragica figura, senza ottenere alcuna reazione. Lo urtò con circospezione con la canna del fucile. Ancora nulla. Quel corpo, com'era giusto che fosse, era totalmente privo di vita.

Mateo si rese conto di essere forse il primo membro di Alpha in grado di poter studiare da vicino e in condizioni di relativa sicurezza un contaminato inerme, pur essendo privo di quel bagaglio di cognizioni mediche necessario per compiere un'accurata analisi che potesse venire a capo di qualcosa.

Ma era veramente un contaminato, o semplicemente un Alphano morto a causa dell'improvvisa decompressione?

Non potevano esservi dubbi, le ferite dell'uomo erano troppo atroci per avergli consentito di restare in piedi e muoversi in quello stato, senz'altro l'Alphano irriconoscibile si era recato laggiù di sua volontà e poi solo in un secondo tempo era stato fermato dall'assenza di pressione. Bisognava che il dottor Russell potesse avere la possibilità di studiare ciò che rimaneva di quell'uomo ma era impossibile portare qualcuno giù nell'hangar in quel momento e neppure il commlock riusciva a prendere la comunicazione. Doveva sbrigarsi a tornare in Main Mission e avvertire il personale di quella scoperta che forse avrebbe potuto essere risolutiva nello spiegare il mistero.

Eppure Mateo esitava a muoversi, con la mente che gli si affollava di domande che per sua natura peculiare non si rassegnava a lasciare senza risposta, al punto da fare passare in secondo piano l'urgenza di raggiungere la Main Mission. Intanto quale molla, quale impulso aveva spinto quell'uomo a scendere proprio laggiù, in un'area decompressa? Forse si trovava già lì al momento dell'esplosione, ma era un posto lontano dalle mansioni di servizio di un operatore dalla manica rossa, per di più il condotto in cui si trovava era praticamente abbandonato dal personale di Alpha. Né si poteva pensare che avesse deambulato alla cieca, poiché le azioni dei contaminati non erano fini a se stesse e questo si era potuto accertarlo. Perché si trovava lì, dunque?

Mateo si avvicinò alla figura devastata, illuminandola per bene alla luce della lampada inserita nella tuta.

Quando vide l'oggetto, ne fu in un certo modo sollevato.

Ogni problema, ogni mistero possedeva un cuneo di volta, una chiave interpretativa insita nel problema stesso. Bastava trovare quell'unico elemento nascosto per poi agevolmente ricostruire tutte le fila della matassa. E Dan Mateo fu all'improvviso certo di aver scoperto quel dato X, che spazzò via di colpo tutta una serie di domande inquietanti, ormai priva di significato, per sostituirla con un'altra se possibile ancor più inquietante.

Spuntava tra la carne liquefatta e raggrumata attorno al fianco ferito dell'uomo, la chiave del mistero.

Qualcosa che se non era un sofisticato circuito stampato, gli somigliava moltissimo.

5

Era un robot. Il morto vivente, il contaminato, quell'uomo, era un robot.

Nessuna forza preternaturale all'opera, dunque. Nessuna inusitata metamorfosi chimico-biologica dovuta alle radiazioni. E probabilmente nessun influsso da parte di quell'energia rossastra che aveva gravitato su Alpha e che ora era svanita. Semplicemente, logicamente, un robot.

Semplicemente?

Il ventaglio di spaventose implicazioni che quella scoperta sottintendeva si aprì di botto nella sua mente, lasciandolo interdetto. Mateo dovette fare forza su se stesso per non essere travolto dal fiume di pensieri senza controllo montato nel suo cervello. Lo ricacciò indietro, per analizzarlo compiutamente più tardi. Ora voleva studiare più da vicino quel... quel simulacro. Pronto a scattare al minimo segnale di movimento dell'automa, s'inginocchiò davanti ai resti. Attraverso la visiera del casco mise a fuoco il circuito stampato che fuoriusciva dalla lacerazione sul fianco, provò a toccarlo. Sulla parete liscia del componente erano perfettamente visibili dei numeri di serie e il logo della sezione tecnologica della WSC, la World Space Commission, l'agenzia che presiedeva ad ogni impresa spaziale e da cui Alpha stessa dipendeva.

"Mio Dio!", pensò, allibito, "Cosa vuol dire tutto questo?"

Un'ovvia intenzionalità umana giaceva oltre quella scoperta. Ma quali ne erano gli scopi?

Improvvisamente calmo, perfettamente controllato ora, proprio come chiunque si fosse trovato per caso fortuito molto avanti sulla strada della comprensione di un delicato mistero, Mateo spianò il fucile ad alternanza sulla cosa davanti a lui. Il getto di fuoco concentrato fu subito soffocato nel vuoto ma la tremenda onda di calore che investì l'automa fu abbastanza potente da ottenere l'effetto desiderato: spazzò via i resti dell'uniforme alphana, fondendo la membrana di similpelle e innestando un processo di autocombustione. L'involucro che ricopriva il robot era un capolavoro di bioingegneria, un tessuto apparentemente vivo e organico. Mateo osservò affascinato fasci di muscoli, sistemi arteriosi, nervosi, endocrini perfettamente replicati mentre bruciavano, rivelando nel profondo la struttura artificiale singolarmente ridotta: un apparato scheletrico di metallo, la centralina, il generatore ed il cervello positronico. Un incredibile prodigio meccanorganico.

Il botanico stentava a credere che si fosse potuto raggiungere un vertice tale di perfezione tecnologica ma l'ammirazione per quello stupefacente risultato scientifico fu presto dissipato dall'impellente quantità di domande urgenti di una immediata risposta che ora fluiva analiticamente nella sua testa.

Se i contaminati erano in realtà dei robot, e così doveva essere, cos'era successo per farli impazzire così? Perché assalivano gli Alphani, uccidendo? Che rapporto c'era con quello sfoggio di rossastra energia? Ma non erano neppure quelle le questioni più importanti, come s'avvide Mateo, ben più importante era capire perché alcuni membri della base lunare Alpha fossero dei robot, verosimilmente tutti coloro che, guarda caso, si trovavano nell'area generatori al momento dell'incidente. Perché quella sostituzione segreta? Nessuno della Main Mission, apparentemente, sembrava sospettare una simile verità, per quanto ne sapeva Mateo. E poiché senz'altro Alpha non disponeva di laboratori così ultra perfezionati da poter produrre androidi simili, il tutto risaliva a prima del distacco della Luna dall'orbita terrestre!

Un complicato gioco di ipotesi e di ricostruzione di schemi mentali che andava sviluppandosi nella sua mente venne forzatamente frenato da Mateo, conscio del ritardo che andava accumulando. Doveva assolutamente sbrigarsi a tornare il più presto possibile alla Main Mission e riferire ciò che aveva scoperto al comandante Koenig. Il robot sembrava davvero disattivato e per quanto gli spiacesse lasciarlo lì costituiva comunque la prova manifesta di ciò che avrebbe raccontato. L'idea di allungare il tragitto nel passaggio sotto l'hangar gli parve all'improvviso da scartare. Spinto da un impulso improvviso decise di risalire negli uffici soprastanti il ricovero delle Aquile. Aveva il cervello in fiamme e voleva assolutamente vagliare con calma la situazione. Diede un'ultima occhiata alla carcassa, poi uscì dalla camera stagna, attraversò nuovamente la centrifuga ruotante e in pochi minuti si ritrovò nei locali deserti al piano di sopra. Sentendosi avvampare dal caldo si tolse il casco e si sfilò lo scafandro spaziale, lasciandosi sprofondare su una poltrona. Sul tavolo ingombro di strumenti vide un pacchetto di cigarillos appartenuti probabilmente ad un tecnico o ad un astronauta. Se ne accese uno col l'accendino accanto, aspirò nervosamente il fumo aromatico e finalmente permise alla sua mente di ragionare.

Robot. Un nuovo modello di perfezionatissimo essere artificiale. Almeno una parte del personale di Alpha era dunque costituito da androidi. Ma quanti? I tecnici dell'area generatori distrutta... e forse anche di più. Pete Irving era un astronauta ed anche lui era un replicante... Ora quegli automi si aggiravano per la base, evidentemente avariati, pronti ad aggredire mortalmente chiunque capitasse loro a tiro. Perché? Disfunzioni causate dall'esplosione? Radiazioni che agivano sui cervelli positronici? Mateo ricordò di avere visto precedentemente su uno schermo due di essi avanzare in coppia, senza aggredirsi l'un l'altro. Quindi gli assaliti, perlomeno, dovevano essere senz'altro umani. Un primo punto fermo, seppure inspiegabile. Tutti i tecnici in manica marrone del settore generatori potevano essere androidi... ma certo non solo loro. Irving e Lowry ne erano la prova. Quindi anche altri Alphani erano dei replicanti. Quanti? E chi?

Perché?

E se anche nella Main Mission vi fossero stati altri esseri artificiali, all'insaputa di tutti... bisognava accertarsi come prima cosa della reale natura di tutto il personale, ma come? I raggi X non sarebbero certamente serviti, visto la perfezione del rivestimento organico e la compattezza degli elementi artificiali ed elettromeccanici.

Chi aveva potuto ordinare una tale macchinazione? Era ovvio che si trattava di un piano prestabilito e avallato prima della catastrofe che aveva proiettato la Luna nello spazio. Robot non distinguibili dall'essere umano, in grado di mimare i sentimenti e le emozioni, celati da un rivestimento organico, senza difetti, sofisticatissimi, all'avanguardia tecnologica, infiltrati segretamente nel personale della base lunare Alpha, insospettabili.

La mente di Dan Mateo si buttò alacremente al vaglio di tutte le varianti possibili del problema: qualcuno, prima della separazione, al soldo della WSC, aveva programmato di inserire nell'organico della base dei robot per qualche fine ancora sconosciuto. Il disastro planetario del 13 settembre 1999 aveva vanificato quel progetto, evidentemente. Per tutti quei mesi i robot si erano comportati indifferentemente come esseri umani e solo l'incidente ai generatori aveva rivelato, e per ora solo a Dan Mateo, la vera natura dei replicanti... che erano impazziti. Quel gorgo di energie misteriose... calma, calma!

Il botanico soffiò una nuvola di fumo, stringendo la mascella. Qualcosa doveva per forza auto elidersi in tutto quel quadro, necessariamente... bisognava ragionare con calma e freddezza. Se anche in Main Mission ci fossero stati dei robot occultati tra il personale, che effetto avrebbero avuto le sue rivelazioni? Sugli uomini ignari di tutto, certo... ma anche sulle macchine. Quali sarebbero state le loro reazioni? I replicanti sapevano di essere tali? Che razza di pericoloso vespaio avrebbe sollevato? E poi... se non tutti gli uomini fossero stati ignari? Se qualcuno avesse saputo di quella situazione... No, impossibile, in tale stato d'emergenza avrebbero parlato, avrebbero impedito il panico dilagante dovuto all'erronea credenza che morti viventi stessero muovendosi su Alpha uccidendo ogni essere vivente. O no?

Mateo scrollò la testa, arrestando il flusso di pensieri: doveva usufruire di un mentale rasoio di Occam e fare piazza pulita di ogni illazione per giungere ad avere un provvisorio riassunto di dati accettabile con logica. E c'era una sola spiegazione accettabile.

Un esperimento.

Doveva trattarsi di un esperimento. Abbinare una serie di prototipi di androidi ad un equipaggio umano impegnato in mansioni potenzialmente pericolose come doveva essere la supervisione delle scorie radioattive custodite nei depositi nel sottosuolo lunare, valutarne i rapporti, stabilire se in un prossimo futuro sarebbe stato possibile, in frangenti simili, sostituire interamente l'elemento umano con delle macchine. Gli insuccessi cocenti dell'esplorazione spaziale profonda delle Missioni Astro avrebbero senz'altro potuto spingere gli alti papaveri della World Space Commission ad agire in quella maniera. Si vociferava qualcosa al riguardo sin dal 1998, erano stati avanzati studi e piani da diverse comunità scientifiche. Già, un progetto legittimo, ed ovviamente, per ottenere risultati incontrovertibili, puri, bisognava agire nel più riservato segreto, anche e soprattutto con gli stessi componenti umani del personale di Alpha, che si sarebbero dovuti comportare naturalmente e senza pregiudizio nei loro rapporti con gli insospettati colleghi robotici. A programma ultimato, si sarebbe rivelata la verità unitamente all'eventuale riscontro positivo delle aspettative: le missioni più pericolose per l'uomo avrebbero avuto come protagonisti le macchine, preservando l'elemento umano dai pericoli e dalle incognite del cosmo, che erano già costate vittime e perdite di patrimonio. Ma il programma relativo il monitoraggio dei depositi di scorie non aveva avuto modo di completarsi, per la deflagrazione degli stessi che aveva scagliato la Luna nel profondo degli spazi... con i replicanti ancora occultati tra il personale della base Alpha che continuavano ad agire come se fossero stati veri membri dell'equipaggio.

E se quella stessa esplosione fosse stata una sorta di esperimento, sfuggito al controllo, per valutare le reazioni dei robot su Alpha?

"No, per Dio, non può essere andata così... non può!", esclamò Mateo, gettando il cigarillo. Era un pensiero terrificante, insostenibile ed aveva delle conseguenti implicazioni di vario tipo, la più importante delle quali riguardava coloro che in realtà supervisionavano quel programma segretamente. Era inammissibile pensare che tali supervisori non si trovassero, almeno alcuni, proprio su Alpha. Prima del 13 settembre 1999 c'era stato l'avvicendamento, piuttosto insolito e repentino, del comando della base, con la sostituzione di Anton Gorski da parte di John Koenig. Quest'ultimo poteva avere a che fare con tutta quella macchinazione? No, non John Koenig, uomo di provata onestà, integrità morale e coerenza di comportamento, cui l'intero personale della base doveva qualcosa nella lotta per la sopravvivenza nel profondo spazio. Anche se fosse stato al corrente di quel progetto, nell'attimo della catastrofe planetaria avrebbe rivelato ai 315 superstiti la verità... o lo avrebbe fatto ora, in quella situazione particolare. Se avesse saputo. Ma chi poteva esserci d'altro a conoscenza dei fatti? Il commissario Gerald Simmonds, grande papavero della WSC, anche lui giunto su Alpha all'improvviso... ma il commissario era morto, e aveva portato con sé il supposto segreto. Chi allora? Victor Bergman?

Bergman... uno dei più insigni scienziati mondiali, che non faceva parte del personale di Alpha. Già, perché Bergman si trovava sulla base? Per certi esperimenti non meglio definiti e per la sua consulenza sui preparativi della Missione Meta. E se fosse stato un altro il progetto che stava seguendo in realtà, all'oscuro di tutti, commissionatogli dalla WSC? Era la persona ideale per un tale compito, magari supportato da validi cibernetici del personale, come David Kano o Benjamin Ouma.

Se tutto ciò che stava pensando fosse risultato vero, perché nessuno aveva parlato prima? Nella condizione di naufraghi dello spazio in cui si trovavano non sarebbe stato certo opportuno indire un processo o approntare alcun tipo di punizione di tipo legale ma effettivamente quanto sarebbe stato tollerabile per gli Alphani scoprire all'improvviso che colleghi o amici erano in realtà creature artificiali? Lui stesso cosa avrebbe provato nell'apprendere che la sua ragazza, la dottoressa Laura Adams, conosciuta proprio su Alpha, fosse un replicante? Strano però che in tutti quei mesi di vagabondaggio nel cosmo non si fosse verificata una singola circostanza per far nascere il sospetto sui membri dell'equipaggio che non erano umano. Forse il loro numero era davvero esiguo... magari solo una decina o poco più. Ma perché distribuirli in settori a scarso potere esecutivo come la sicurezza o il corpo astronauti? Un conto era il settore tecnico, in grado di operare secondo emergenza di propria iniziativa, ma Lowry e Irving...

Mateo si alzò, sporgendosi dall'ampia vetrata che dava sull'hangar delle astronavi. Ora la questione era: quale sarebbe stata la reazione del personale di fronte alla verità? Come doveva comportarsi lui che l'aveva scoperta? Come avrebbe reagito il fantomatico operatore, se c'era, all'interno del personale, ora che le conseguenze del suo operato avevano causato dei morti tra gli Alphani? Finora non si era verificato alcun caso di omicidio nella base tra i superstiti del 13 settembre. E del resto, rifletté il botanico, in quell'emergenza vi erano più probabilità che qualcuno finalmente scoprisse la verità sui replicanti, proprio come era accaduto a lui... e se il supervisore al progetto si fosse lasciato prendere dal panico, temendo chissà quali ritorsioni a suo danno dal parte del personale stesso? Non sarebbe stato facile fare sì, in qualche modo, che gli ultimi dispersi della base, coloro con più possibilità di scoprire la chiave del mistero, finissero coll'essere eliminati proprio dai robot impazziti? Eliminazione totale delle prove... Ma in un modo o nell'altro alla fine si sarebbe necessariamente scoperto il tutto, salvo abbandonare Alpha. Per dove? Lo spazio tutto attorno alla Luna vagante era deserto per anni-luce, Koenig non avrebbe mai condannato la sua gente alla morte per inedia a bordo delle Aquile, neppure se davvero Alpha fosse stata colpita a morte con la distruzione della sala generatori. Il problema degli automi impazziti poteva alla fine risolversi circoscrivendone i movimenti (e rivelando così la verità) ma se la base non poteva più davvero supportare il mantenimento vita...

Mateo colpì la parete di vetro con un pugno, esasperato. Non stava concludendo niente in quel modo. Doveva assolutamente riferire, almeno a Koenig, quel che aveva scoperto. Si voltò verso la colonnina di comunicazione dell'ufficio ed imprecò. I monitor non sfarfallavano più con l'effetto neve. Così preso nel pensare non si era accorto che erano state ripristinate le comunicazione, interrottesi prima. Ma c'era qualcosa che non andava... gli schermi non mostravano il consueto logo elettronico di Alpha, erano semplicemente neri. E anche le mappe coi percorsi considerati sicuri erano scomparse. Mateo provò a chiamare la Main Mission, senza ottenere risposta, come pure da ogni altro settore della base. Il commlock portatile stesso risultava fuori uso: funzionava, come anche la colonnina di comunicazione, ma era stato in qualche modo accecato ed isolato.

"Ma che diavolo...", Mateo non riusciva a credere ai propri occhi. Così sarebbe stato impossibile aggirarsi per i vari livelli di Alpha senza finire con l'imbattersi in almeno uno dei replicanti impazziti o in un settore decompresso o inagibile. Trafficò col quadro di controllo del commpost, cercando di riattivare il sistema. Nulla da fare, l'intera unità risultava inerte. Un sospetto gli attraversò fulmineo la mente: "Mi stanno facendo muovere alla cieca!", pensò, allibito. E di colpo si convinse che tutto ciò che aveva ipotizzato finora dovesse corrispondere davvero in gran parte alla verità.

"Sono stato tenuto sotto controllo in qualche maniera... sanno che io so e vogliono eliminarmi!". Il pensiero lo colpì con la forza di un maglio. L'ignoto o gli ignoti operatori che erano a conoscenza di quel progetto temevano che lui, non ancora rientrato in Main Mission e in prolungato ritardo potesse imbattersi casualmente nella verità, così com'era accaduto in effetti... e avevano intenzione di farlo finire alla mercé di qualche robot impazzito in agguato chissà dove, forse sotto il loro stesso controllo. Ma come potevano agire così impunemente quegli uomini? Come potevano avere la meglio sull'autorità del comandante stesso? Chi dirigeva le cose su Alpha senza che addirittura Koenig lo sospettasse?

"Un momento!", pensò il botanico, "C'è un modo di sapere se sono stato davvero abbandonato al mio destino...". Mateo si diresse verso una parete occupata dai pannelli terminali del computer, soffermandosi sul quadro del localizzatore d'emergenza, funzionante in modo autonomo anche in mancanza di energia. Lo attivò, denunciando così la sua posizione presso la rampa 4 alla Main Mission, dove una spia luminosa sarebbe dovuta comparire in un apposito quadro del computer centrale. Nell'impossibilità delle comunicazioni visive o vocali un analogo segnale in risposta avrebbe avvertito Mateo che la sua presenza era stata registrata... sempre che vi fosse stato qualcuno in grado di farlo. E se il personale della Main Mission fosse stato aggredito dai replicanti e sopraffatto? Mateo attese invano l'accensione della spia di ritorno. Nessuna luce ammiccò sul quadro. Nessun contatto dalla Main Mission.

Sentì la tensione crescere dentro di lui, immaginando la centrale operativa abbandonata da tutti o piena di cadaveri. Forse i superstiti si erano già imbarcati sulle ultime aquile e lasciato Alpha... No, Koenig non l'avrebbe mai permesso, senza avere la certezza che tutti gli Alphani sopravvissuti non fossero stati al sicuro. Nonostante tutto, però, ora era davvero solo, circondato da potenziali nemici ed aggressori... umani e non.

6

Doveva stare molto attento, nel muoversi per i corridoi deserti col fucile ad alternanza spianato. La smodata attività del suo cervello tendeva a distrarlo ma lui non riusciva a fare a meno di rivalutare ogni aspetto di quella situazione. Molti elementi sfuggivano ancora dal suo quadro mentale, primo fra tutti il ruolo di quel vorticoso mulinello di energia rossastra che aveva gravitato sulla base e che era stato apparentemente causa ed innesco dell'intera faccenda.

"È stato quel fenomeno il motivo delle disfunzioni dei replicanti... o dell'esplosione della sala generatori che ha condannato Alpha?", si chiese, muovendosi a ridosso dei pannelli a bassa illuminazione del corridoio che lo stava riportando verso l'area di sicurezza. Propendeva più per la prima ipotesi, anche se per qualche misterioso motivo tendeva a non dare troppa importanza all'intervento di quell'agente alieno nel susseguirsi dei fatti, quasi che non fosse, come in realtà avrebbe dovuto essere, il punto primo da analizzare. Gli pareva che l'imminenza di una reale distruzione della base non fosse un elemento comprovabile... eppure l'annientamento dell'area generatori non lasciava evidentemente di che sperare per la sopravvivenza degli Alphani. Qualcosa però lo induceva a non ritenere quello un punto nodale della questione, quasi ritenendolo alla stregua di dettaglio marginale.

"Perché? Siamo tutti condannati senza il supporto energetico... perché questo pensiero non mi tocca? Perché lo ritengo quasi... un falso?"

Mateo si rese conto che non poteva rischiare di imbattersi in un replicante, così totalmente immerso nelle proprie elucubrazioni. Doveva fermarsi ancora un attimo e sopire il flusso di dati ed incognite che il suo cervello eccitato gli stava fornendo senza sosta. La sala di ricevimento di una fermata del travel tube gli venne incontro e il botanico si sedette sul comodo divanetto presso il portello, con l'arma sulle ginocchia puntata di direzione del corridoio, pronto all'uso. Anche lì le colonnine del commpost risultavano funzionanti ma disattivate.

Dan Mateo ridusse al minimo le resistenze mentali e lasciò che i pensieri fluissero liberi di essere analizzati nel suo cervello, mai stato così pronto a vagliare e comporre un problema, nonostante l'innata tendenza che aveva sempre avuto di razionalizzare e dedurre con logica.

"Di cosa sono sicuro con certezza?", si chiese, "Che parte del personale di Alpha è composta da replicanti artificiali, che questo fatto è da legarsi ad un progetto iniziato prima della separazione della Luna dalla Terra, che un ignoto fenomeno ha causato l'alterarsi delle funzioni dei robot e la distruzione del settore energetico della base, che chi sa non ha rivelato la verità e ha contribuito a creare un clima di caos e confusione deleterio, che non posso fidarmi di nessuno, che qualcuno sta cercando di eliminarmi facendomi muovere alla cieca... Ma ci sono punti che non tornano in tutto questo schema: l'improvvisa scomparsa di quell'energia rossastra, replicanti accettabili nel ruolo di tecnici della base ma assurdi in quelli di agenti di sicurezza o astronauti, questo continua sensazione di ravvisare in tutto quel che è accaduto un che di falso, di stonato. L'impressione di stare vivendo una farsa, anche se non ho ancora in mano dati e prove per confutare o meno tutto quel che ho pensato finora... una farsa, una grottesca farsa. Ma perché, quale è lo scopo finale?

Era convinto che mancasse qualche elemento essenziale per avere il quadro definitivo della faccenda, e che nonostante tutto, alla fine, di una farsa, di una tragica farsa si trattasse.

"Alpha non sta correndo pericolo a causa della distruzione dei generatori... no, non c'è immediata emergenza per questo fatto. Per quel che posso saperne, la sezione dei generatori non è andata distrutta, o almeno non completamente".

Si bloccò: come poteva essere certo di questo? L'esplosione, gli allarmi, le scene di caos viste sugli schermi... stava andando contro il principio di realtà! "Ma sento di aver ragione... per istinto. Alpha non sta correndo pericolo, Alpha non è stata oggetto dell'azione di forze aliene... è tutto un trucco, una finzione per scatenare le conseguenze di una situazione che in realtà non è tale!"

Illogico! Privo di senso! "Ma è così! Pensaci... pensa. Tutti i tecnici dell'area sono in realtà prodotti di laboratorio... va bene. E Lowry? E Irving? E l'Alphano anonimo nella sala di decompressione? False piste... dettagli per stornare dal vero nucleo del problema... È un esperimento, un esperimento... tutta una messinscena. Per chi? Per quale scopo? La WSC sta dietro tutto... Robot ultra sofisticati, non distinguibili dall'uomo, androidi ultima fase, eppure in grado di impazzire in quell'assurda maniera così inquietantemente comune a... a tutti... Quel gorgo di energia rossa... falsa pista anche quello, per distogliere, confondere l'attenzione... possibile che tutti i robot si trovassero lì, proprio nei pressi dell'area generatori, e non altrove, in altri settori di Alpha? Tutti lì? Aspetta, l'Alphano presso il condotto stagno... falsa pista anche quello? No, lui era lì... affinché tu lo trovassi!"

Mateo si alzò di scatto, ansante. Dove lo stava portando tutto quel ragionamento assurdo? Una messinscena... ma come si poteva pensare ad una cosa del genere, nelle condizioni in cui si trovavano gli Alphani, sempre in lotta con la vita e la morte nelle sconosciute distese dello spazio? No, un momento... un momento. Forse c'era un razionale angolo di visione che poteva giustificare molte cose... ma bisognava rovesciare completamente il punto di vista finora assecondato.

"Sto sbagliando tutto", pensò Mateo, tornando a sedersi lentamente, "Sto sbagliando tutto perché sto dando per scontato che questi automi che ho visto siano il punto d'arrivo di tutto... ma non è così. Evidentemente non è così. Sì, è tutta una messinscena... ma per i veri replicanti ultima fase, che non sono questi! Chi altri potrebbero essere se non gli addetti della Main Mission? È lì il cuore nevralgico di Alpha, è lì che vengono prese le decisioni!"

Il cervello di Mateo doveva essere stato attivo quasi a livello inconscio per tutto il suo tragitto nei meandri della base, ricostruendo tassello per tassello le file di quella ingarbugliata trama. Ed ora le cose gli parvero finalmente chiare, non in contraddizione con loro stesse.

"Ma certo! Sono rimasto stupefatto dal livello tecnologico raggiunto da quei cloni artificiali ma perché non pensare che ne esistessero di ulteriormente perfezionati? Gli uomini, o un uomo solo, della Main Mission, il luogo dove si controlla l'intera base! Lì doveva essere il replicante ultima fase e per lui era stata creata tutta questa messinscena!"

Ora tutto collimava alla perfezione: per testare il loro comportamento, la loro funzionalità nelle emergenze più impreviste, le loro reazioni di fronte alle situazioni più estreme quale miglior sistema che creare uno scenario fittizio paradossale, assurdo? Morti viventi che ciondolavano nei corridoi della base, aggredendo esseri umani, la sezione generatori distrutta, il pericolo immediato della mancanza di supporto vitale, l'azione non meglio identificata di una misteriosa energia aliena... Se un uomo in quelle medesime circostanze avrebbe raggiunto un punto di rottura, perdendo il proprio autocontrollo e l'abituale freddezza richiesta per quel tipo di lavoro, mettendo a repentaglio la propria vita e quella dei suoi collaboratori, nonché rischiando l'integrità di un complesso di hardware costosissimo, come si sarebbe comportata una macchina perfetta, un sistema organico artificiale con la capacità esecutiva ed operativa di un computer, in brado di agire più velocemente, più logicamente di qualsiasi essere umano? Ma tutto questo solo per quanto riguardava un'emergenza ordinaria verificabile su una base lunare come Alpha: in caso di incidenti gravi alle strutture del complesso, decompressioni improvvise, esplosioni, intrusione di agenti esterni come schegge meteoritiche la rapidità di valutazione del danno e dei provvedimenti da adottare poteva essere decisiva nel salvaguardare la sicurezza della base ma doveva esserci molto di più se gli ignoti autori di quel progetto avevano immaginato una situazione ben oltre i limiti della credibilità per valutare le prestazioni del robot ultima fase. Che lo scopo reale del progetto fosse indurre la creatura artificiale, oltre che a cavarsela nell'emergenza immediata, anche a smascherare l'impostura, o meglio, rendere attendibile ed affrontabile una situazione che non era né una né l'altra cosa, tramutare l'impossibile in fattori risolvibili in un contesto di pura razionalizzazione. Doveva essere proprio così. Rendere ogni situazione, per quanto fuori dalle regole, affrontabile e risolvibile. Ma per fare una cosa del genere, che nello spazio voleva dire salvezza, occorreva molto di più che una macchina, per quanto sofisticata. Occorreva la simbiosi più perfetta e totale tra l'incorruttibile purezza di pensiero ed azione di un computer e quell'unica caratteristica umana che una macchina non avrebbe mai potuto possedere: il dono dell'intuizione.

La possibilità di guardare oltre la realtà. Con logica, ma anche al di là di essa. Scoprire il vero nascosto, renderlo soggetto al proprio volere. Si avrebbe avuto così una creatura perfetta, un punto fermo.

E forse non si trattava neppure di qualcosa di antropomorfo. Forse era solo un componente miniaturizzato all'interno del computer centrale, un'unità di silicio che nei suoi insondabili schemi di pensiero era già giunta alla risoluzione di quel mistero, decretando il successo del progetto... un progetto risalente a prima dell'abbandono dell'orbita terrestre.

"Ma perché proprio ora?", si chiese ad alta voce Mateo, "Perché sperimentare adesso le risorse di questa creazione? Un momento... se le cose stanno come sembra, allora Koenig e probabilmente altri, come Bergman o Morrow o Kano, sono al corrente di tutto. È ovvio... sono loro che stanno supervisionando il comportamento di questa macchina... Forse hanno deciso di portare a termine il progetto pensato dalla WSC e rimasto incompiuto dopo la separazione per poter affrontare le incognite spaziali a cui saremmo potuti andare incontro nel nostro vagabondaggio..."

Sembrava una spiegazione logica. Alpha era stata minacciata da ogni sorta di pericolo nei settecento giorni passati dall'abbandono dell'orbita terrestre: l'incontro con il Voyager Uno, la follia di Balor di Progrom, la scacchiera planetaria di Beta e Delta, l'invasione corporale degli alieni di Jarak e Rena, Gwent, la macchina infernale, il potere del Grande Guardiano di Piri... quante di queste situazioni critiche avrebbero potuto essere risolte senza perdite di vite, senza distruzione, senza danni, grazie all'operato del robot ultima fase o della macchina che ne faceva le veci?

Ormai Dan Mateo era certo di avere ricostruito nelle linee generali come dovevano essersi svolti i fatti, era sicuro di essere nel giusto, ma c'era da sistemare ancora qualche punto oscuro. Se tutto corrispondeva alla sua ricostruzione mentale, e di ciò non aveva ancora le prove, se lui stesso, parallelamente al robot ultima fase, aveva correttamente interpretato i fatti, allora Alpha non stava correndo alcun pericolo reale, l'esplosione nel settore generatori doveva essere stata necessariamente controllata e gli uomini uccisi dai simulacri impazziti dovevano solo aver inscenato la loro morte (del resto, lui stesso aveva visto tutto solo sui monitor della base... nessuna uccisione era stata effettuata sotto i suoi occhi...). Perché quindi erano stati accecati tutti i commpost? Perché la Main Mission non rispondeva? Le sue ultime riflessioni avevano fatto cadere l'ipotesi che qualcuno cercasse di eliminarlo quale testimone di un tragico fallimento perciò perché abbandonarlo al proprio destino?

C'era una risposta anche a quel quesito e la sua mente non tardò a trovarla: non tutto il personale poteva essere a conoscenza della verità, anzi, senz'altro non lo era, se no non avrebbe avuto senso attivare tutta quella messinscena. Ma perché non portare avanti il progetto su due binari paralleli e opportunamente confrontabili? Da una parte l'attento studio delle potenzialità e risorse del robot ultima fase (come gli faceva comodo identificare la creazione artificiale in questione, a prescindere che avesse una forma antropomorfa o meno), dall'altra uno studio altrettanto meticoloso delle reazioni di alcuni esseri umani (i dispersi nelle varie sezioni di Alpha) di fronte a quell'inconcepibile situazione. Chi, facendo le dovute concessioni all'uomo, se la sarebbe sbrogliata meglio?

"Maledetti!", imprecò Mateo, colpendo col pugno chiuso il bracciolo della poltrona, "Mi hanno usato... e chissà chi altro con me! Koenig! Non ne avevi il diritto!" Quell'esperimento sarebbe continuato sino a che non fosse giunto, e con più difficoltà possibili, alla Main Mission, dove gli avrebbero rivelato una verità che lui già sapeva.

Trasalì, udendo il cicalino sonoro che avvertiva dell'arrivo di una delle "talpe" del travel tube. Qualcuno lo stava raggiungendo a quello scalo! Era un'ulteriore prova che ora Alpha era nuovamente dotata dell'energia necessaria per i mezzi di spostamento interno, il che voleva inconfutabilmente dire che non v'era stato un reale danno agli impianti dei generatori. Forse chi stava arrivando era un uomo della Main Mission col compito di recuperarlo e di rendergli nota la verità.

"Gli spacco la faccia, chiunque sia!", soffiò il botanico, furibondo, mettendosi comunque a lato del portello, pronto ad utilizzare nel caso anche il fucile ad alternanza. Un segnale luminoso si accese sul pannello e al di sopra del portello la scritta lampeggiante On arrival mutò nella destinazione successiva Main Mission. Il cilindro a pressione del travel tube si fermò, i portelli si aprirono. Mateo tese i muscoli, pronto ad aggredire chiunque fosse disceso dalla metropolitana della base. Dal vano del portello apparve una figura femminile dai lunghi capelli corvini, in manica gialla, di profilo.

"Laura!", esclamò stupefatto il botanico, abbassando la canna del fucile ad alternanza.

La donna si voltò. Solo metà del suo viso sorridente conservava tratti umani. L'altra metà era un orrendo ammasso sfatto e carbonizzato di carne bruciata.

"Ciao, Dan!", fu la risposta della dottoressa Laura Adams, seguita da una risatina divertita.

7

"Mio Dio, Laura, no!", gemette Dan Mateo, appoggiandosi alla parete della sala di ricevimento. La testa gli girava ed un senso di nausea lo aveva colto all'improvviso. Laura Adams era stata la sua compagna, la donna che avrebbe sposato una volta raggiunto un sistema planetario adatto alla sopravvivenza dell'uomo... Laura Adams era un replicante. Laura Adams non era mai esistita.

"Dan, vieni, sediamoci un attimo", disse con tono assolutamente normale il simulacro della dottoressa Adams. Lo prese per mano, conducendolo assolutamente inebetito alla fila di divani pneumatici. Mateo, sotto shock, la lasciò fare.

"Laura... Laura...", continua a ripetere, in un debole sussurro.

"Ora calmati, Dan, va tutto bene", la dottoressa lo fissava con quella tanto familiare aria mite e dolce, ora violentemente trasfigurata dalle terribili ustioni sul viso, "È stata una brutta avventura, ma te la sei cavata egregiamente. Sei stato bravo".

Mateo cercò di riprendersi, deglutendo a vuoto: "Laura... tu sei...", non riuscì a proseguire, le parole gli si soffocarono in gola.

"Un fantoccio", rispose la replicante, ed un velo di tristezza gli offuscò metà del viso, tuttavia sempre sorridente, "Devi fartene una ragione, Dan, mi dispiace. Laura Adams non è mai esistita", la stretta di mano si accentuò, e con essa il dolore interiore che provava Dan Mateo, "Sono qui per rispondere alle tue domande, caro".

Mateò si sforzò di ritornare in sé, relegando il dolore sordo che provava nel profondo: "Quanti... quanti di Alpha sono in realtà...", faceva fatica a parlare.

"Pochi, Dan. Pochi. È stato un esperimento. Solo un esperimento".

"Chi l'ha voluto, e perché?"

"Ti posso dire che il progetto originale è stato approvato dalla WSC sulla Terra, con i sigilli dell'Alto Commissariato. Per salvaguardare la vita umana nella corsa allo spazio. Era una cosa necessaria, Dan".

"Tutta questa messinscena qui su Alpha..."

"Sì, Dan, è stata tutta una messinscena. Non hai mai corso un reale pericolo di vita. L'esplosione ai generatori è stata simulata, come tutto il resto. Nessun Alphano ha perso la vita. La base è perfettamente integra e funzionante".

"Esiste un nuovo tipo di intelligenza artificiale su Alpha, che potrebbe prenderne le redini al comando, un modello di sistema ultima fase in grado di affrontare e risolvere le situazioni più estreme ed inammissibili... come questa. Non è così? Tutta questa storia folle non ha avuto forse lo scopo di mettere alla prova le facoltà di questo essere artificiale?"

"Sì, Dan caro", rispose semplicemente l'essere che era stato Laura Adams.

"Quel gorgo di energia aliena che gravava sulla base... un trucco?"

"Per creare un po' di confusione... un ologramma".

"Quanti, oltre me, sono stati utilizzati come... come cavie?"

"Nessun altro. Solo tu".

"Perché io?"

"Sei stato scelto dal computer come l'elemento più idoneo per il tuo alto grado di razionalizzazione. Hai gareggiato con la nuova intelligenza artificiale nel risolvere questa situazione. Sei stato davvero in gamba!"

Dan Mateo fissò disgustato il viso devastato della donna che aveva amato. Un robot... un manichino semovente. Era stato ingannato... ingannato e violentato nei suoi affetti più profondi. Qualcuno doveva pagarla. Pagarla cara.

"Laura... io ti amavo!"

"Mi dispiace davvero, Dan", il simulacro sorrideva ancora ma la maschera di quel viso era orrenda oltre ogni sopportazione, "Sono stata inviata per tranquillizzarti. Va tutto bene ora. Devi raggiungere la Main Mission, sei atteso."

"Bastardi! Chi l'ha voluto? Chi?"

"Bergman, principalmente. Il comandante si è dapprima opposto... poi ha avallato la continuazione e il compimento del progetto. Per il bene di Alpha."

"Non ne avevano il diritto! Non... non in questo modo!", gridò Mateo, perdendo il controllo.

"Dan, calmati", il simulacro di Laura Adams lo fissava intensamente, "Ascoltami. Prima di andartene... usa il lanciafiamme su di me".

"Cosa?"

"Considerami morta, Dan. Brucia tutto. Brucia i ricordi. Fallo".

Mateo si alzò di scatto, scuotendo la testa, sudando copiosamente. La metà umana di quella cosa era proprio la Laura Adams che aveva conosciuto, che aveva amato, con le stesse espressioni del viso, la stessa finta malinconia dei tratti: "Non posso farlo... io..."

"Dan, dammi retta. Fallo. Brucia tutto!"

"NO!"

All'improvviso, ogni parvenza di umanità nel lineamenti femminili del replicante scomparve. L'unico occhio perse la sua luce interiore, aprendosi innaturalmente, la bocca si spalancò in un'oscena risata, altisonante, meccanica, priva di ogni inflessione umana. Mateo, al di là di ogni orrore, indietreggiò verso il portello aperto della metropolitana, si afferrò ai battenti. Urlò, gridò tutta la sua rabbia, poi fece fuoco su quella cosa ghignante. Una vampata rossastra avvolse il simulacro, lo inghiottì, cominciando a consumarlo ferocemente. I pannelli del travel tube si chiusero pietosamente su quello spettacolo terribile e Mateo crollò sulle poltroncine, esausto, sfinito. Il mezzo partì, con destinazione Main Mission.

"Maledetti... maledetti!", ruggì Dan Mateo, scagliando lontano da sé il fucile ad alternanza. Rovesciò il capo all'indietro, respirando rumorosamente, l'adrenalina che gli pulsava tumultuosamente dentro. Non gli avrebbe perdonati, non poteva farlo, neppure considerando la legittimità di un tale progetto per la sicurezza dell'intera base lunare. Era stato ferito nel profondo, usato ignobilmente, senza umanità. Mentre si affannava nel pensare a cosa avrebbe fatto una volta tornato alla Main Mission, cercando ora di calmarsi per quanto poteva, il suo sguardo incrociò la propria immagine, riflessa da un pannello a specchio che correva sul bordo curvilineo della "talpa". Qualcosa attirò la sua attenzione, distogliendolo per il momento da ogni proposito di vendetta. Dapprima non riuscì bene a mettere a fuoco il dettaglio che lo aveva colpito, o la mancanza di esso, poi se ne rese conto: qualcosa non andava nel suo viso. Guardò meglio, alzandosi e sporgendosi verso il pannello riflettente, studiando le proprie guance.

Non c'era più.

Il graffio, l'escoriazione sanguinosa infertagli dal simulacro di Irving era sparita senza lasciare tracce. La pelle era liscia, priva di qualsiasi segno che rimandasse alla ferita, priva di cicatrici o arrossamento della cute. E ciò non era possibile, ricordava benissimo di essersi deterso il sangue che scorreva copioso nonostante la superficialità del graffio, il fastidioso pulsare dovuto al bruciore avvertiti poi. Impegnato a pensare ad altro non aveva fatto più caso alla ferita, che ora sembrava scomparsa del tutto. Passò la mano sulla guancia più volte, non avvertendo altro che la morbida uniformità della pelle.

Rigenerazione dei tessuti, a livello molecolare.

Quell'oscuro nodulo di pensiero che fino ad allora si era portato dentro, quella zona nera che si era andata progressivamente assottigliando man mano che veniva a capo della soluzione del problema scomparve del tutto con l'estrema rivelazione. La verità fu un diaccio senso di vertigine e di nausea che gli attanagliò la bocca dello stomaco, fluendo inesorabile attraverso il suo corpo, fu il disgustoso sapore dell'orrore che più profondo che prendeva vita travolgendo tutto il resto.

Rigenerazione istantanea dei tessuti. Perché no, del resto? La ciliegina sulla torta, il raffinato suggello finale. Come poteva mancare una simile peculiarità a quel vertice di creazione, quella ovvia imitazione di immortalità per un essere perfetto come il robot ultima fase? Chiaro. Necessario. Consequenziale.

Mateo scivolò sulle poltroncine pneumatiche. Non avrebbe potuto conoscere il suo invisibile, inesistente alter ego artificiale che con lui aveva risolto il mistero di quanto stava accadendo su Alpha. Il robot ultima fase... non c'era nessun robot o unità ultima fase oltre i battenti della Main Mission. Il mosaico era completo, ora, e l'ultimo tassello era il cuneo di volta dell'intero esperimento. I restanti, disperati residui di dubbio furono cancellati di colpo, con inumana rapidità, dalla logica dell'evidenza, dal principio di realtà così palese. Questioni secondarie furono risolte nel medesimo, infinitesimale, lasso di tempo: le risposte giungevano ancor prima che le domande potessero essere formulate.

Un passato fittizio, ricostruito con somma precisione, falsi ricordi posticci, innesti cerebrali, settecento giorni di vita reale, un'identità fasulla e una prova da sostenere...

Non era la spalla del Primo Attore. Era lui il Protagonista.

"Sono io!"

E con quelle parole l'esperimento ebbe termine.

8

Arrivò alla Main Mission dall'ufficio del comandante, i cui ingressi erano aperti. Salì gli scalini verso i grandi battenti che si aprivano sulla vasta sala illuminata. Non fu necessario che azionasse lui il segnale di apertura, i pannelli scivolarono di lato automaticamente. Dan Mateo era giunto a destinazione.

Nella Main Mission c'erano tutti, e lo aspettavano: il comandante John Koenig, il professor Victor Bergman, la dottoressa Helena Russell, il vice comandante Paul Morrow, il capitano Alan Carter, il cibernetico David Kano, l'analista dati Sandra Benes, alcune guardie del servizio di sicurezza, tra cui Pierce N'Dole, l'intero personale attualmente di turno. E stavano applaudendo entusiasti, scambiandosi strette di mano, sorridendo e congratulandosi reciprocamente. Nei pressi della parete occupata dai vani del computer centrale c'erano parecchie consolle mobili, fornite di grandi schermi. Alcune di esse erano i terminali di controllo dei replicanti, altre mostravano la ricostruzione olografica del gorgo rossastro di energia, altre ancora le sezioni di Alpha coinvolte nella messinscena ed ora nuovamente attivate... alcune, vicine a lui, mostravano le fasi della costruzione del robot ultima fase, con impietosa verosimiglianza... la costruzione di lui stesso.

Dan Mateo impazzì.

"Bergman!", urlò, stringendo in mano il fucile ad alternanza.

Nella Main Mission cadde di colpo il silenzio, greve, pesante. John Koenig si fece avanti, salendo gli scalini che portavano al piano rialzato dove si trovava il botanico.

"Mateo...", iniziò, ma fu interrotto.

"Un tempo ero ciò che tu dici", ringhiò Mateo, tremando, "Mi avete tolto la mia esistenza... tutti voi, insieme, guardate il risultato delle vostre azioni!", fece scorrere lentamente, inesorabilmente il braccio puntato su tutti gli Alphani presenti, un tremante indice accusatore.

"Mateo, ascolta...", fece Bergman, avvicinandosi con fare condiscendente, "Tu sei un miracolo di ingegneria biogenetica..."

"Sono tornato", mormorò freddamente il botanico, sollevando il fucile ad alternanza, "Tutto il mio essere grida vendetta per il vostro atto collettivo che ha distrutto la mia esistenza!"

"N'Dole, Dodge!", proruppe Koenig, facendo segno ai due agenti di sicurezza di intervenire per disarmare Mateo. I due uomini gli si fecero addosso, strappandogli rudemente l'arma e afferrandolo per le braccia.

"Lasciatemi! Lasciatemi!", gridò il botanico, lottando selvaggiamente per liberarsi, "Mi sentite? Lasciatemi!"

La colluttazione era troppo impari per Mateo, imprigionato nella stretta dei due agenti: "Me la pagherete, mi sentite? Me la pagherete tutti! Lasciatemi!"

Dan...?

"Tutti voi! Vi ucciderò! Vi ucciderò tutti!"

Dan Mateo...?

"Ti ucciderò, Koenig! Koenig! KOENIG!"

Mateo!

9

"LASCIATEMI!"

"Dan, calmati!"

Mateo scattò in avanti urlando, trattenuto alle braccia da una forte stretta da entrambi i lati. Davanti a sé i suoi occhi focalizzarono il familiare ambiente del Centro Medico di Alpha, immerso in una penombra azzurrina. La dottoressa Helena Russell e il dottor Bob Mathias lo stavano trattenendo ma c'era una terza persona presente, col viso dai tratti dolci preoccupato dall'ansia.

"Laura!", la riconobbe, la sua mano corse a stringere quella di lei.

"È tutto finito, Dan...", gli sorrise la dottoressa Adams, evidentemente sollevata. Il dottor Russell si fece avanti con una siringa di tranquillante.

"Quella non serve, dottore", disse Mateo, tornando a respirare con più calma, riprendendo il controllo delle sue facoltà. Helena ripose la siringa, avvicinandosi.

"Come ti senti, Dan?", chiese dolcemente, osservando i dati sul biotester accanto.

"Strano... ora meglio, comunque", rispose, tornando a sdraiarsi, con uno stanco sorriso. Laura Adams sedette al suo fianco mentre Mathias portava via l'unità medica ricurva posta sul torace di Mateo.

"Ricordi perché sei qui?", chiese la Russell, tastandogli il polso.

"Sì... sì, mi ricordo", annuì il botanico, più rilassato.

"La bropina", continuò la dottoressa.

"Già, la bropina... ha funzionato?"

"Beh, si direbbe di sì. Che sintomi stai provando?"

"Non lo so... calma, rilassatezza, un senso di pace dilagante. Come se avessi accumulato in me molta energia, molta forza nervosa... e poi l'avessi scaricata con violenza, liberandomene".

"Certo", sorrise il dottor Russell, "È esattamente l'effetto che volevamo raggiungere. Ora ti sentirai meglio, Dan, libero da quegli accessi di ira che ti hanno provocato non pochi guai... soprattutto col dottor Warren."

"Oh, Warren...", sorrise Mateo, stringendo la mano di Laura, "Farebbe impazzire chiunque, quell'uomo... forse era a lui che bisognava somministrare la bropina!"

Scoppiarono a ridere tutti e tre e il dottor Russell si passò una mano tra i capelli, soddisfatta delle condizioni di Mateo.

"Bene, vi lascio soli. Dan, preferirei che tu passassi ancora questa notte qui, al Centro Medico, e domani potrai tornare senz'altro al tuo lavoro..."

"Ma sto benissimo", protestò Mateo, "Potrei alzarmi fin d'ora..."

"Dan, per favore!", lo calmò Laura, ridendo, "Non ricomincerai subito con quella tua cocciutaggine!"

"Oh, va bene, resterò... ma solo se mi farai compagnia". La ragazza bruna arrossì leggermente, imbarazzata.

"Bob, lasciamo soli questi due ragazzi, abbiamo del lavoro da fare", Helena uscì sorridendo dal cubicolo che conteneva il letto di Mateo, seguita da Mathias.

"Sicuro di stare bene, Dan?", chiese Laura una volta che i due dottori se ne furono andati.

"Ho fatto uno strano sogno, Laura..."

"Davvero? Me lo racconterai?"

Mateo restò il silenzio per qualche istante, poi ammiccò in un sorriso. "Un vero orrore, cara mia..."

"C'ero anch'io, forse?"

"Ho detto orrore, Laura... tu non potevi esserci". I due risero, poi la ragazza lo abbracciò.

Prologo

Base Lunare Alpha,
775 giorni dall'abbandono dell'orbita terrestre,
Ufficio del Comandante

"Victor, a cosa stai pensando?"

Lo scienziato trasalì, colto di sorpresa, voltandosi dalla finestra rettangolare che s'affacciava sull'infinito siderale. Il comandante John Koenig era seduto al tavolo di metallo collocato alla destra dei grandi battenti che davano sulla Main Mission, ora chiusi, e da qualche secondo lo stava osservando con fare divertito.

"Ah, John...", il professore tornò in sé, ammiccando e congiungendo le dita delle mani in modo che i polpastrelli si toccassero l'un l'altro, "Beh, vedi... stavo pensando a Gwent".

"Avresti preferito seguirlo nel suo viaggio?", lo motteggiò Koenig, stuzzicandolo. Bergman sembrava in procinto di esternare le proprie riflessioni, che erano sempre meritevoli di essere ascoltate.

"Sarebbe stata un'esperienza interessante!", Bergman si prestò allo scherzo, "Del resto gli dovevo la vita... ha detto che ora il mio cuore artificiale potrebbe funzionare per sempre..."

"Un colosso solo e cieco... e spesso capricciosamente volubile", gli ricordò Koenig, sorridendo.

"Sai, John, mi chiedevo...", riprese il professore, dopo un attimo di silenzio, "Companion... era davvero parte di Gwent? Era davvero il celebre scienziato Delmer Powys Plebus Gwent del pianeta Zemo... o dopotutto solo il suo compagno di viaggio?"

Koenig rifletté, aggrottando le sopracciglia. "Non ne avremo mai la certezza, Victor", rispose poi.

"Eh, no", convenne Bergman, pensieroso, "Ora non più..."

I pannelli di un ingresso sul fondo del vasto ufficio si aprirono, permettendo l'ingresso della dottoressa Helena Russell: "Vi disturbo?"

"Affatto, Helena", rispose Koenig, invitandola ad entrare, "Novità?"

"Abbiamo un problema", esordì Helena, lasciando una cartelletta medica sul tavolo del comandante, "Dan Mateo".

"Ancora?", s'accigliò Koenig, "Un altro dei suoi scatti d'ira?"

"Sì, e sempre ai danni del professor Warren. Stavolta stava per mettergli le mani addosso".

"Ho già ricevuto due lamentele al riguardo da Warren stesso, in meno di un mese", disse Koenig, sfogliando la cartella, "Quel ragazzo mi sembra troppo irascibile..."

"John, Mateo è un giovane brillante, davvero", s'intromise Bergman, "Ha un caratteraccio, è vero, ma devo confessarti che mi hanno molto colpito le sue ricerche, quelle stesse che Warren dimostra di non apprezzare".

"Comunque sembra che sia stata colpa di Warren, a detta di Laura Adams. Lo ha deliberatamente provocato sul suo lavoro, e lui ha perso le staffe", confermò Helena.

"La serra idroponica non è luogo per bisticci, ripicche o litigi. È un settore troppo importante, da cui Alpha dipende in massima parte. Dovrò redarguire Mateo, per quanto io stesso lo abbia lodato per il lavoro svolto sulla manna di Ariel. Grazie a lui le nostre possibilità alimentari sono aumentate del trenta per cento... Victor, ma di cosa si occupa precisamente Mateo, al punto da suscitare le polemiche di Warren?"

"Me ne ha parlato qualche tempo fa lui stesso. Mateo è convinto che sia possibile instaurare una certa qual comunicazione telepatica con le piante, usufruendo di onde magnetiche generate sia dal nostro cervello che dal sistema linfatico vegetale. Un contatto di qualsiasi cenere con le piante, secondo lui, potrebbe portare alla soluzione definitiva del problema alimentare su Alpha. È una cosa importante, John, risolta la quale non dovremmo più preoccuparci del controllo delle nascite sulla base. Avere dei bambini renderebbe più accettabile la vita che conduciamo quassù, lo sai bene".

"Questo è vero, John", intervenne la dottoressa, "Molte coppie su Alpha risentono molto del fatto di non potersi costituire in una vera famiglia, avere figli".

"Capisco. Ma le teorie di Mateo hanno un fondamento scientifico?"

"Sì, ce l'hanno. Un fondamento estremista, forse, ma ce l'hanno. Dapprima ero scettico al riguardo, e credo che lui se ne sia anche accorto, ma poi, ripensandoci, ho trovato che Mateo fosse perfettamente a conoscenza di quale via seguire... solo che Warren non ne vuole sapere, ritenendo il lavoro di Mateo alla stregua di pericolosa eresia".

"Ritieni perciò che io debba permettere a Mateo di proseguire nelle sue ricerche?"

"Io lo farei", annuì Bergman, grattandosi la testa.

"Bisogna però che controlli i suoi scatti d'ira, John. È quasi al limite di un esaurimento nervoso da superlavoro. Laura Adams è molto preoccupata per lui", aggiunse Helena.

"Hai qualche soluzione al riguardo, Helena?"

"Sì, una ci sarebbe. Un trattamento a base di bropina. È un farmaco sperimentale che sulla Terra ha superato tutti i test di positività e qui su Alpha ne abbiamo alcuni campioni".

"Bropina... e cosa sarebbe?", chiese Koenig, incuriosito.

"Una droga, né più né meno, che però non induce a tossicodipendenza. Una sorta di allucinogeno, senza effetti collaterali per l'organismo umano. Sarebbe stato uno stupefacente ideale per gli anni Sessanta, perché garantisce dei trip straordinari senza danneggiare i tessuti cerebrali o provocare lesioni permanenti cerebrali e vascolari".

"E tutto questo come potrebbe giovare a Mateo?"

"Il trattamento a base di bropina si effettua dormendo. Provoca un sistema di onirismo non casuale, una allucinazione coerente che in massima parte dipende dal paziente stesso. Durante il sogno gli stati di tensione si accumulano, si stratificano, vengono portati al loro estremo, caricati al massimo, e poi deflagrano, esaurendosi senza danno. Una sorta di orgasmo mentale, che lascia il posto alla rilassatezza e alla calma".

"Non è il principio del trattamento effettuato su Simmonds?", ricordò Koenig.

"No, nel caso di Simmonds bisognava tenere calmo il soggetto. Per Mateo invece si tratta di indurlo a portare all'acme i suoi stati emotivi, farli esplodere per poi risolverli definitivamente. Direi che sia quasi il contrario, con unico elemento comune il sonno".

"Mezadrina senza i suoi effetti nefasti sul sistema nervoso", considerò Bergman.

"Esattamente. Ne ho già parlato con Mateo stesso, che si è rifiutato dapprima di sottoporsi al trattamento. Fortunatamente Laura Adams ha un notevole ascendente su di lui e lo ha convinto ad accettare".

"Bene, Helena, se ritieni sia una soluzione da tentare, hai la mia autorizzazione. Dobbiamo assolutamente evitare stati di attrito tra il personale di Alpha, specialmente nei settori più importanti e vitali della base".

"In capo a qualche giorno la cura potrà dirsi completata e Mateo potrà tornare al lavoro... speriamo poi di non dovervi sottoporre anche il professor Warren!", scherzò la dottoressa, riprendendo la cartelletta medica firmata da Koenig, "Andrò a preparare la bropina assieme al dottor Mathias. A più tardi".

Helena uscì dall'ufficio di comando, salutata dal professor Bergman: "È vero, John, bisogna tenere in conto cervelli come quello di Dan Mateo... il suo caso e quello di Warren sono emblematici: il giovane irruente e geniale e l'anziano conservatore e poco propenso ai cambiamenti. La Seconda Legge di Arthur C. Clarke cita appunto che quando un giovane scienziato asserisce che una cosa è possibile, quasi certamente ha ragione, e quando un anziano scienziato dice che non lo è, quasi certamente ha torto..."

"... e per giovane si intende d'età non superiore ai trent'anni", concluse Koenig, sorridendo, "La conosco anch'io, Victor".

"Ne sentiremo ancora su Dan Mateo, John", considerò Bergman, avviandosi verso l'uscita dell'ufficio, "Alpha ha bisogno di ingegni come il suo".

"Ne sei convinto?"

Bergman ammiccò: "Sì, qualcosa mi dice che Dan Mateo farà parlare di sé... speriamo per il bene di tutti".

Lo scienziato uscì dall'ufficio del comandante, lasciando solo John Koenig, che fece ruotare la poltrona aprendo i battenti sulla Main Mission.

"Bene, Paul, l'ultimo rapporto generale..."

"Vi ucciderò! Vi ucciderò tutti!"


Copyright (c) 2003. Reprinted with permission.
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